Contrapporre, con diritto di invalidazione, alle leggi emanate dal governo e approvate dal Parlamento (da un libero Parlamento, in democrazia) le sentenze dei tribunali, in quanto depositari di una verità più alta delle prime, significa minare alla base la concezione moderna della democrazia, che non è il regime che intende realizzare il bene e la felicità di tutti ma il regime che conta le teste e porta alla guida dello Stato i partiti che rispecchiano le opinioni della maggioranza (che potrebbero, benissimo, essere sbagliate e mutate, qualora ispirassero politiche disastrose). Questo rimettersi al diritto comincia a preoccupare, e non poco, anche esponenti della sinistra più avanzata.
Lo storico della Columbia University, Mark Lilla, ha scritto in proposito un saggio,L’identità non è di sinistra. Oltre l’antipolitica ( Ed. Marsilio) su cui non si è meditato abbastanza. «La sfiducia nel processo legislativo— vi si legge— e il crescente affidamento ai tribunali per raggiungere gli obiettivi ha allontanato l’élite liberale da una base più ampia.|…| ha infuso nei liberal l’abitudine di trattare tutto come una questione di diritto inviolabile, senza lasciare spazio per un negoziati e dipingendo gli oppositori alla stregua di mostri immorali, invece di considerarli cittadini con opinioni diverse».
Senza un sentimento civico, «le democrazie sono soggette all’entropia». Solo sul «noi universale e democratico» si può «costruire la solidarietà, instillare il senso del dovere e ispirare l’azione».
Questo, però, comporta la riconquista della dimensione comunitaria e statale del vivere in società e se lo Stato nazionale non può essere più il riferimento privilegiato della politica, si pensi pure, e ci si batta pure, per una comunità più vasta— lo Stato federale europeo— ma che sia una comunità non la societas di tutti gli abitanti del pianeta. Forse prima di dare troppo addosso ( come, d’altronde, merita ampiamente) a Putin si dovrebbe riflettere su un passo dello Zibaldone citato da Giulio Tremonti, ne Le tre profezie. Appunti per il futuro ( Ed. Solferino)– e molto evidenziato nella ponderata recensione che Danilo Breschi gli ha dedicato nel suo blog: «Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che Cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo: l’amor patrio di Roma divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo e nullo: e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più patria di nessuno e i cittadini Romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono col fatto».
E’ la sorte che ci riserva il “diritto cosmopolitico”.
Dino Cofrancesco, 10 luglio 2019