Putin ha un po’ ragione: siamo dei cavernicoli

L’invasione dell’Ucraina è conforme al particolare imperialismo russo. I leader europei vittime di pacifismo da accattoni e folle propensione alla guerra

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In una recente intervista di gruppo concessa alle agenzie di stampa a San Pietroburgo, Putin ha parlato di “russofobia da cavernicoli”, e l’ha fatto in riferimento proprio all’Italia. Il presidente russo si è compiaciuto del fatto che in Italia non c’è una “russofobia da cavernicoli” come in altri paesi europei (chiara l’allusione alla Francia del belligerante Macron o alla Germania dell’imbelle Scholz o all’eterna nemica Gran Bretagna). Ebbene, Putin ha ragione a definire “da cavernicoli” l’atteggiamento verso la Russia della maggioranza delle classi politiche europee. Tralasciando il patrimonio culturale e l’importanza storica per il nostro continente della Russia, cancellate con un colpo di spazzola, la russofobia si materializza soprattutto in una profonda ignoranza strategica.

I cavernicoli europei vivono e sopravvivono in quella stessa retorica pseudo-umanista che ha fatto precipitare tutto il continente nella più assoluta irrilevanza politica. Il credere che la guerra non sia forse il supremo atto politico, come spiega bene Clausewitz, ma banalmente una violazione di diritti umani e del diritto internazionale a cui bisogna porre rimedio. L’invasione dell’Ucraina è conforme al particolare imperialismo russo, non ispirato da necessità economiche come quello anglo-sferico, ma da motivi geografici e di sicurezza. Tutta la strategia russa, inverata nei suoi massimi esponenti, Gorcakov, Primakov ed oggi Sergej Karaganov (quello che certa stampa nostrana superficiale chiama “il professor nucleare”) ha avuto come obiettivo fondamentale la sicurezza dei confini dell’impero russo, al fine di prevenire la fatidica sindrome da accerchiamento di cui questo sconfinato paese soffre.

In poche parole, quando i russi si sentono minacciati sul loro confine, invadono per primi. Dai tempi delle guerre contro la Svezia ad oggi è sempre stato così. La possibilità che l’Ucraina entrasse nella NATO, unita allo spettro dell’installazione dei sistemi di intercettazione missilistica utili a prevenire il “colpo di ritorno” in caso di attacco nucleare, hanno portato Putin ha mettere in sicurezza il suo paese con una disperata manovra di forza imperialistica tutta novecentesca. Karaganov, molto ascoltato dallo stesso Putin, lo spiega chiaramente nei suoi scritti, che forse qualche politico europeo dovrebbe prendersi la briga di leggere.

“Non dovremo in alcun modo permettere che élite anti-russe prendano il potere nei paesi vicini” afferma il politologo riferendosi all’Ucraina e citando il Kazakistan come fonte di preoccupazione. La strategia russa è focalizzata ad evitare quello “strangolamento” del paese per via geografica (Ucraina, Polonia, Romania, paesi balcanici e baltici sono i punti sensibili), avendo già scongiurato quello a mezzo economico-finanziario dopo la tragica esperienza degli anni di Eltsin, che non a caso i russi definiscono национальный позор (nazionalny’ pasor), disonore nazionale.

Fino a che la Russia non sentirà “sicuri” i propri confini occidentali, la minaccia di una nuova invasione sarà concreta. In questo senso, un ruolo fondamentale lo giocano i Balcani, quel plesso territoriale dove, nelle parole di Churchill, “si fabbrica più storia di quanta ne possano digerire”.

Sempre Karaganov si mostra assai più scettico del suo maestro Primakov nella possibilità di un futuro europeo per la Russia, vedendo anzi la necessità di una grande riaffermazione etnica dei valori militareschi del suo popolo e l’abbandono di quello spirito europeo che consegnò agli stessi russi Tolstoj, Dostoevskij, Puskin, Cechov e le tante meraviglie letterarie che da lì provengono. Un ritorno alla Siberia, nello spirito e nella storia. Le parole di Putin sulla possibilità di rifornire di armi i nemici della NATO (ogni riferimento agli Houthi non è casuale) ribadiscono la profondità della voragine tra Russia ed Europa. Una ferita che forse non si rimarginerà più.

Ecco, tutto questo ignorano gli isterici cavernicoli, con il loro pacifismo da accattoni e la folle propensione alla guerra con la prima potenza nucleare del mondo. Quelli del “c’è un aggredito e un aggressore” per intenderci… Per fortuna il nostro destino dipende, come sempre, dalla volontà degli Stati Uniti che non sono popolati da cavernicoli. O almeno non lo erano fino a poco tempo fa.

Francesco Teodori, 8 giugno 2024

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