Difficilmente le guerre scoppiano all’improvviso. Così come difficilmente esse sono il parto delle menti crudeli, o folli come spesso si dice, di dittatori e autocrati. Il più delle volte i conflitti maturano, si caricano di tutta la loro forza dirompente attraverso lunghe gestazioni e con segnali evidenti. Il conflitto tra Russia e Ucraina non fa eccezioni.
Non si è arrivati per caso alla crisi con la Russia. L’origine è forse da ricercare nella mancata gestione della fine di un impero, quello russo per l’appunto. Nella storia moderna, al crollare di un impero sono sempre seguite conferenze, congressi e conciliaboli dove le grandi personalità politiche dell’epoca si riunivano per decidere le sorti dell’impero decaduto e tracciare la rotta per il futuro.
Il Congresso di Vienna del 1815 ridisegnò l’Europa dopo la fine di Napoleone (il quale durante le guerre che lo vedevano protagonista era soprannominato le monstre) e conseguente crollo dell’impero da lui instaurato, ripristinando l’assolutismo dei sovrani europei. Nella Conferenza di Parigi del 1919 si stabilì quale dovesse essere la sorte degli ultimi imperi europei decaduti dopo la prima guerra mondiale. In particolare gli imperi tedesco e austro-ungarico furono smembrati e dalla loro caduta nacquero le nazioni moderne di Germania e Austria.
A Jalta, nel 1945, le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale decisero cosa doveva essere dell’Europa dopo la caduta del Terzo Reich tedesco, l’ultima forma di impero germanico. In tutti questi casi, al distruggersi di un impero seguì una fase costruttiva in cui si sarebbe deciso cosa fare dell’Europa e della nazione che risultava dalla fine dell’impero stesso.
Ciò non accadde per la Russia. Quando nel 1991 l’Unione Sovietica si dissolse i grandi della terra non si riunirono come a Jalta o a Vienna per decidere quale sarebbe stato il destino della Russia e quali dovessero essere i suoi rapporti con il resto del mondo.
La caduta dell’URSS comportò una tragedia immane per il popolo russo; negli anni ‘90 la Russia era un paese impoverito e senza guida, criminalità e alcolismo dilaniavano una società frantumata.
Boris Eltsin tentò di tamponare l’emorragia economica abbandonando l’economia pianificata di stampo comunista e aderì al “Washington Consensus”, ovverosia una lunga scia di privatizzazioni sotto l’occhio vigile degli Usa. Con l’incubo di una guerra civile dovuta alle insurrezioni cecene, nella neonata Federazione russa si fece largo un giovane ex agente del KGB di nome Vladimir Putin. Egli sfruttò la guerra cecena (e il bisogno di sicurezza dei cittadini russi) come cavallo di battaglia per la propria ascesa al potere; manovra che riuscì perfettamente.
In vent’anni non solo tenne a bada i separatisti ceceni e caucasici, egli riportò sotto il controllo nazionale le maggiori industrie della nazione, in particolare quelle legate alle materie prime energetiche, e sembrò tirare fuori il paese dall’abisso in cui era precipitato. Al progredire del capitalismo segue sempre però, ci insegna Lenin, il sorgere di un nuovo imperialismo, come dimostrano l’annessione della Crimea e l’invasione dell’Ucraina. Una mossa quasi disperata quest’ultima, generata dalla perenne paura russa dell’accerchiamento, stavolta non da eserciti ma da basi missilistiche e sistemi anti-missilistici che, se l’Ucraina avesse portato a compimento il progetto di ingresso in Europa inneggiato dalla rivoluzione colorate, sarebbero stati installati al confine stesso con la Russia. Forse è qui l’origine dei mali odierni.
Il non aver pensato a quale destino affidare alla Russia dopo la caduta del comunismo e dell’URSS, lasciando che i demoni, i quali come insegna l’indimenticato Dostoevskij sempre albergano nell’animo di ogni russo, crescessero e fermentassero nel rancore per l’umiliazione e il desiderio di rivalsa imperialistica. Oltre che all’isterico bisogno di sicurezza. Ogni tentativo di indebolire il paese attraverso sanzioni, provocazioni, disprezzo per la sua società non fa che alimentare un fuoco che potrebbe presto diventare un incendio indomabile.
Putin somiglia sempre di più allo Stalin nelle ultime fasi di vita descritto da Chruščëv: un uomo che ha perso il contatto con la realtà e vede nemici ovunque. Un autocrate che perde contatto con la realtà è la minaccia più terribile che possa esistere. Occorre capirlo prima che sia troppo tardi.
Francesco Teodori, 27 marzo 2024
Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).