Il vertice Nato che inizia oggi in Lituania potrebbe aprirsi con qualcosa di “storico”, perché questo è il tono che si vuole dare all’incontro, teso a celebrare l’unità e la forza delle 31 nazioni che compongono l’Alleanza, nonostante – e anzi grazie – l’oneroso impegno di diciassette mesi al fianco dell’Ucraina invasa. Ma l’annuncio storico non sarà l’ingresso di Kiev nella Nato, che automaticamente porterebbe in guerra tutti gli alleati, e per statuto dell’alleanza non è possibile. Ingresso rinviato a dopo, e anche dopo sarà qualcosa di simile alla partnership Nato-Israele, amici a distanza.
La storia sarà evocata, probabilmente, per l’ingresso di qualcun altro: la Svezia, figlia pentita del neutralismo socialdemocratico. E certo Putin non potrà non registrare che la sua operazione speciale ha prodotto una rinascita dell’alleanza che dopo la fine ingloriosa dell’esperienza afghana era data per boccheggiante. Ma le cose non sono così semplici. Dietro il totale sostegno alla causa ucraina, crescono le perplessità, e più negli Usa che in Europa. I risultati della controffensiva ucraina finora non sono stati brillanti, Kiev è un pozzo senza fondo di denari e armamenti, e Biden non può iniziare la corsa presidenziale con una guerra senza fine in agenda.
Neanche gli europei sono così uniti: l’attuale segretario Stoltenberg resterà al suo posto ancora un anno perché non si è trovato un accordo sul sostituto. E due anime dell’alleanza sono abbastanza evidenti se si guarda, nelle questioni poste dal conflitto, all’atteggiamento dei paesi dell’Est e a quello della vecchia Europa: stramazzare l’orso russo per gli uni, aiutare l’Ucraina a raggiungere una pace non disonorevole per gli altri. Tutti d’accordo invece a portare le spese militari di ciascun paese al 2% del Pil (l’Italia nel 2022 è rimasta all’1,51%). Giocatore solitario è il turco Erdogan, ingolosito dagli F16 americani, interlocutore di Mosca e capace però di far uno sgambetto a Putin permettendo il ritorno al fronte dei capi Azov.
A proposito: è passata sotto silenzio l’intervista a uno di loro che, per spiegare la resa dell’Azovstal, ha raccontato che nella fabbrica c’erano alti gradi americani, e con i russi è stato negoziato un permesso di esfiltrazione, in cambio della bandiera bianca su una trincea che loro invece avrebbero difeso fino alla morte. Si può stare sicuri che sarà la cosa più discussa, a Vilnius, sottovoce.
Toni Capuozzo, 11 luglio 2023