La guerra in Ucraina

“Putiniani”. Smontiamo le accuse del blog americano

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Evidentemente siti di debunker e auto-praclamatisi enti di ricerca sono meno sagaci dei nostri lettori, dunque necessitano di indicazioni più precise: il nostro giornale non vende verdura, non produce bulloni, ma pubblica articoli di opinione (capito, News Guard?) e si pone delle domande. Anche sulla guerra in Ucraina. È forse un reato? Non ci sembra, almeno per il momento. Ma a quanto pare secondo un report dell’Institute for Strategic Dialogue (ISD) attiviamo a sufficienza le sinapsi per andare un po’ oltre la narrazione “mainstream” da meritare l’etichetta di “putinisti”, “propagandisti pro-Cremlino” e via dicendo.

Ieri Toni Capuozzo, di cui abbiamo più volte pubblicato i lucidi ragionamenti, vi ha già illustrato questo sapiente dossier. In sintesi: i solerti studiosi hanno pescato da Facebook circa 200 post relativi alla strage di Bucha e ne hanno analizzato condivisioni, interazioni e contenuti. Risultato: alcuni erano condivisi da fonti legate al Cremlino (che scoperta!), altri sposavano le tesi della Russia (criticabile, ma non illegale) e altri ancora mettevano “in dubbio la legittimità delle immagini di Bucha utilizzate dai media mainstream occidentali” (è forse vietato?). Questi ultimi, tra cui vengono infilati anche i post di Capuozzo, avrebbero ottenuto più interazioni delle news “ufficiali”, verificate dagli infallibili media occidentali, quelli cioè che nei due mesi di guerra hanno spacciato per “veri” i video di videogiochi o fantomatiche cartine della Azovstal. Sorvoliamo.

La prevalenza online di post “non allineati” sarebbe per l’ISD una “scoperta preoccupante”, visto che dimostrerebbe (?) il successo delle narrazioni pro-Cremlino. Ora, potremmo sollevare milioni di obiezioni. Far notare ad esempio che quelle di Capuozzo non erano affatto “fake news” né “un’interpretazione controversa” di quanto successo a Bucha, ma ponevano banalmente delle domande. Le stesse, per inciso, che avrebbero dovuto farsi i “media mainstream” prima di trasformare in eroi i soldati ucraini dell’isola dei Serpenti, santificati post mortem e in realtà vivi e vegeti. Quella come la chiamiamo, propaganda pro-Nato? E quante interazioni fondate su tale “fake news” hanno ottenuto quei post? Facciamo un dossier a parte?

Si dà il caso, comunque, che nel report dell’Istituto “in prima linea contro l’estremismo in tutte le sue forme” sia citato anche il nostro giornale. “Dei due post che non erano legati a Capuozzo – si legge – (…) uno era un post del blogger Nicola Porro che denunciava le denunce di stupri da parte di soldati ucraini”. Di quale articolo si tratta? Crediamo sia questo: “L’Onu rivela: ‘Denunce di stupri commessi da soldati ucraini’“. Il nostro sovversivo pezzo è stato incluso tra i “55 post che mettono in dubbio la narrativa mainstream sulle atrocità a Bucha”. Cosa avremo scritto mai di russofilo? Nulla, in realtà. Ci siamo limitati a riportare “una notizia, passata in sordina o quasi del nulla riportata dai media, che ieri ha plasticamente disegnato l’orrore della guerra in tutta la sua crudeltà”. Ovvero l’annuncio dell’Onu dell’apertura di un’indagine ai danni dei soldati di Zelensky, denunciati per stupro da alcuni civili e accusati di usare le vietate bombe a grappolo.

Ce lo siamo inventato? No, l’ha proprio detto un rappresentate dell’Onu. Dunque delle due, l’una: o riportare notizie che gettano ombre sulle forze armate ucraine è ormai un peccato mortale (diteci: va santificato pure l’Azov, fino all’altro ieri ‘nazista’?), oppure vanno etichettate come “putiniste” pure le Nazioni Unite. Tertium non datur. Oppure sì: potremmo smetterla di mettere all’indice chiunque si discosti di un solo passo dal sentiero geopoliticamente corretto. Ma forse chiediamo troppo.

Nicola Porro, 24 aprile 2022

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