Il magma politico, che si osserva nel campo progressista, è profetico di quanto sarebbe instabile un governo in cui coabitano istanze inconciliabili. Il leader di Azione, Carlo Calenda, pensava di aver imposto un matrimonio morganatico al Pd, stipulando un accordo che riconoscesse il rango politico differente (inferiore) a coloro che, pur inglobati nella coalizione, si dichiarano ostili all’«agenda Draghi». Tuttavia, l’ossessiva volontà di allargare i confini del centrosinistra, al solo scopo di affievolire l’ampiezza della vittoria degli avversari con la proliferazione di incoerenze ingestibili, ne sta minando ulteriormente la credibilità.
Il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, dopo aver sbertucciato Calenda, apostrofandolo come un immaturo («Un bambino capriccioso, va educato»), ha incassato una quota dei collegi uninominali. Così pure Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana che si è pronunciato a favore dell’accordo con i dem, chiedendo di estendere l’intesa al M5s e rivendicando un’autonomia programmatica con l’implicita intenzione di provocare la frattura irreversibile con Azione. In breve, a sinistra si sperimenta la formula delle “divergenze confluenti”, che, pur ostentando una differenziazione irriducibile, convergono verso un’alleanza elettorale. Così Letta si candida al velleitarismo per l’impotenza oggettiva che incarna l’operazione politica di cui è promotore. Una coalizione senza idee e visione, che si nutre di parole d’ordine stantie, non è idonea a fronteggiare le imponenti sfide della nostra epoca. Il difetto della sinistra è congenito, perché il suo impulso aggregativo si stimola per negazione, cioè contro l’avversario, e non per governare la complessità della società e le criticità socioeconomiche che si sono inasprite a causa della pandemia e della guerra russo-ucraina.
Calenda non poteva ingoiare la polpetta avvelenata di una coalizione rissosa, perché si sarebbe omologato a tutto ciò che contestava, ovvero al rumore che demonizza e non propone. Il leader di Azione rischiava di passare dall’aspirazione a rappresentare il terzo polo a vestire i panni stretti del terzo incomodo fra la sinistra anti atlantista ed epigona dell’estremismo ambientalista antisviluppista e i rimasugli di una stagione politica erede del populismo più becero. Nel quadro politico che sta maturando a sinistra è difficile dissimularne o minimizzarne le contraddizioni, affidandosi al pretesto di arginare la supposta minaccia delle destre.
È Fratoianni che ha votato in Parlamento contro l’adesione della Svezia e della Finlandia alla Nato. Ed è sempre il capo di Sinistra Italiana ad essere vessillifero di idee irrancidite contro il nucleare e i rigassificatori che sono utili agli interessi strategici e alla sicurezza energetica del Paese. Quindi la vera minaccia da disinnescare non è la destra, che ha un programma senza zavorre ideologiche e teso a svecchiare le istituzioni e a garantire un solido rilancio economico della comunità nazionale, semmai lo è il caotico cartello elettorale che sta costruendo Enrico Letta. Nonostante le incongruenze fra culture politiche e obiettivi programmatici, è stata raggiunta un’intesa elettorale fra Pd, Verdi e Sinistra Italiana con il giubilo del segretario dei dem che demanda alla legge elettorale le cause dell’accordo. Come a dire che la convenienza numerica prevale sulla convinzione politica con effetti di inaffidabilità sull’impianto della coalizione.
Calenda, ospite di Lucia Annunziata a “Mezz’ora in più” su Rai 3, ha dichiarato: «Non intendo continuare con l’alleanza con il Pd». Ha scelto di rompere un’intesa che avrebbe sconfessato tutto ciò che ha predicato in questi mesi, non abdicando all’«agenda Draghi» per farsi imporre l’«agenda Greta». Calenda nel congedarsi dal patto con i dem non si è sottratto all’autocritica, ammettendo l’ingenuità di aver pensato che il contributo riformista potesse imporsi nel Pd. Quella ingenuità che non attecchirà nelle urne, che caleranno il sipario sullo show grottesco allestito dalla sinistra.
Andrea Amata, 8 agosto 2022