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Qual è il senso del Natale liberale

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Per i cristiani credenti, il Natale segna l’arrivo di un Bambino speciale, l’unico Figlio di Dio. Forse, purtroppo, sono gli stessi credenti ad averlo dimenticato: e non toccherà certo a un laico e liberale come me fare lezioni sul punto. Certo, però, tra festicciole e riti stanchi, occorrerà pur ricordare chi sia – o chi si presume sia, o chi dovrebbe essere – quel Neonato. Probabilmente però, anche dalla mia prospettiva agnostica (di chi non ha certezze, di chi sa di non sapere, di chi si interroga senza risposte sul mistero nel quale siamo tutti immersi, ed è ovviamente rispettoso di ogni convinzione religiosa), vale la pena di fare una riflessione di fondo.

Prima della rivoluzione cristiana, e quindi in epoca greca o romana, tutto era diverso. Per la filosofia greca (pensate a Platone) c’era una superiorità schiacciante del mondo ideale rispetto a quello reale. Gli uomini? Dei poveri esseri rinchiusi in una caverna, incapaci di uscirne, e persi dietro le ombre proiettate sulla parete della caverna, senza poter accedere alla realtà vera. Nella concezione romana, poi, lo status era tutto, e le classi un fondamento sociale imprescindibile.

Ecco, l’improvviso irrompere di una filosofia – il cristianesimo – che presume l’incarnarsi umanissimo del Figlio di Dio, è un colossale riscatto della condizione umana, un improvviso e spettacolare recupero di dignità e centralità. Figurarsi: l’unico Figlio di Dio che condivide la carne, le ossa, il sangue dei poveracci “rinchiusi” nella caverna platonica. E per giunta, al di là di classi e status, con l’affermazione della piena dignità di ogni singolo individuo, di ogni singola persona!

Sta qui, anche per i laici e per i liberali, il senso profondo del Natale. Vorrei dire di un Natale insieme laico, religioso e umanistico. E (sia consentito scriverlo alla fine del 2022) anche di un Natale occidentale. Il campo delle autocrazie e dei nemici delle libertà (dittatori conclamati, regimi di fatto, più – mai dimenticarle – le centrali del terrore islamista) è largo e insidioso. Troppi, qui, rispondono con la paura, arretrando, rinunciando a pezzi e connotati della civiltà occidentale: quanto è accaduto in epoca Covid è di una chiarezza accecante, e mostra cosa accade quando si mettono la paura e la compressione delle libertà davanti a ogni altro valore.

La nostra cultura, al contrario, nascerebbe dal dialogo (a volte teso, a volte fecondo, a volte drammaticamente conflittuale) tra Atene, Roma, Gerusalemme, e – in epoca meno lontana – tra Londra e Washington. In una cavalcata di secoli, è quello il perimetro che ci ha formato. Guai se lo dimentichiamo. Guai se, in nome del politicamente corretto, di una omogeneizzazione forzata, di un multiculturalismo fallimentare e fallito, dimentichiamo ciò che ha reso il nostro Occidente un mondo libero, e quindi diverso da altri e da altro. E guai, dall’altro lato, se ci illudiamo di “proteggerci” restringendo lo spazio della decisione individuale e allargando quello della decisione pubblica-collettiva-statale.

C’è da lavorare per far crescere questi nostri valori e farli conoscere a chi potrebbe sceglierli. Non per ripiegare su opzioni culturali e politiche disastrose, perdenti, chiuse. Troppo spesso la politica “ufficiale” sembra incapace di far discendere risposte concrete da princìpi di fondo: troppo appare casuale, improvvisato, episodico. Occorrerà – ciascuno nel proprio piccolo – ricordare che quei princìpi esistono, e trarne ogni giorno alimento e ispirazione.

Dal post Facebook di Daniele Capezzone, 25 dicembre 2022