Qual è il vero scandalo del “Cina-gate” by Armani

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giorgio armani

La vera notizia non è l’accusa di aver favorito, in un modo o nell’altro, il caporalato. E nemmeno quella di aver affidato la realizzazione dei manufatti griffati a una ditta senza capacità produttiva adeguata, facendo così nascere quella famosa slavina di subappalti che chissà dove va a ruzzolare. Lasciamo stare anche le retribuzioni da fame con paga oraria che si aggirava intorno ai 2-3 euro l’ora, per fortuna esentasse visto che il salario arrivava in nero. E sorvoliamo pure sull’impiego di manodopera irregolare o clandestina, sugli operai costretti lavorare senza le adeguate misure di sicurezza, con orari infiniti, in luoghi insalubri e con condizioni igienico sanitarie “sotto il minimo etico”. Senza manco un dito di Acqua di Giò per rifocillarsi. Giorgio Armani Spa giura di aver sempre messo in atto misure per “minimizzare abusi nella catena di fornitura” (alla faccia…) e chi siamo noi per non credergli? Ma in fondo, ci interessa poco.

Perché la vera notizia non è quanto elencato sin qui. Ma che capi ed accessori firmati di Giorgio Armani, uno dei mostri sacri dell’alta moda italiana, roba talmente chic che se desideri un borsello (un borsello!) devi versare 850 euro oltre a giocarti la dignità, alla fine della fiera (dell’Est) sono talmente “Made in Italy” da essere realizzati in opifici cinesi da sapienti operai cinesi. Made in China, ma a chilometro zero. “Fatto a Belgamo e Lozzano“. Ah, l’artigianato italiano.

Domandina finale, a cui non è necessario dare una risposta: a parte il marchio e l’idea, My Way, che di sicuro saranno stati partoriti a Milano e non a Singapore, perché svenarsi per un portacarte ziparound in nabuk brillante di fichissima moda se poi il processo di produzione somiglia tanto a quello di un maglioncino monocromatico stile fast fashion? Per dirla con una coltissima citazione di Aldo, Giovanni e Giacomo: sarà anche un Garpez by Armani, ma se l’ha fatta il mio falegname (cinese) per 30mila lire e c’ha messo pure le unghie, puzza di fregatura.

Giuseppe De Lorenzo, 6 aprile 2024

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