La recente bocciatura del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) riguardo all’istituzione di un salario minimo in Italia ha acceso i riflettori su come affrontare il problema del lavoro precario. Il CNEL ha ribadito che la contrattazione collettiva, come previsto dalla Costituzione, rappresenta il terreno più fertile per discutere e adattare i minimi salariali. L’istituto sostiene che la questione non sia tanto la percentuale della retribuzione che deve essere decisa da questa contrattazione, quanto piuttosto il diffondere le migliori pratiche negoziali tra tutti i lavoratori.
Concentrarsi su questo aspetto risulta più urgente rispetto a interventi sugli effetti finali, secondo il CNEL. L’istituto propone un piano d’azione nazionale, allineato alla direttiva europea sui salari adeguati, per sostenere uno sviluppo ordinato e armonioso del sistema della contrattazione collettiva. Questo piano dovrebbe costituire il fulcro della lotta contro i salari insufficienti e il lavoro precario.
Il CNEL sottolinea che la contrattazione collettiva e il salario minimo contrattuale sono centrali, respingendo l’idea di un salario minimo legale imposto dall’alto. Per rendere efficace la riduzione dei salari da fame e del lavoro precario, è necessario responsabilizzare le parti sociali.
Un’aggiunta chiave alla proposta avanzata dal CNEL potrebbe essere l’obbligo imposto ai corpi intermedi di mantenere aggiornati i contratti collettivi in scadenza, compresi i minimi salariali. L’intervento dello Stato dovrebbe essere riservato esclusivamente ai casi in cui le parti sociali non rispettano gli impegni nel rinnovare i contratti collettivi scaduti, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà. In questo modo, si garantirebbe un’efficace vigilanza sulla negoziazione salariale senza compromettere la flessibilità e la responsabilità delle parti coinvolte.
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Insomma, potremmo considerare l’idea di spingere i sindacati a mantenere un ritmo più costante negli aggiornamenti contrattuali. Un po’ come dare una mano a chi sembra aver smarrito l’agenda. Ma, naturalmente, auspico che si riesca a trovare una soluzione senza dover ricorrere a interventi troppo invasivi.
È fondamentale, in questo scenario, ulteriormente sottolineare che non possiamo permettere alla magistratura di prendere il posto della contrattazione collettiva. Quest’ultima rappresenta l’elemento chiave per la negoziazione salariale e per garantire condizioni di lavoro adeguate. Un intervento diretto della magistratura rischierebbe di distorcere il già delicato equilibrio che dovrebbe caratterizzare la contrattazione tra datori di lavoro e lavoratori nonché di aumentare il contenzioso.
In conclusione, mentre ci confrontiamo con le sfide del lavoro precario, dobbiamo preservare e rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva. Solo in questo modo possiamo sperare di sviluppare soluzioni efficaci e sostenibili, senza cedere alla tentazione di soluzioni giudiziarie che potrebbero compromettere la flessibilità e la dinamicità del mercato del lavoro italiano.
In questo mondo che oggi dovrebbe occuparsi del cambiamento epocale che assisteremo con l’avvento delle nuove tecnologie e il oro impatto sul mondo del lavoro, il salario minimo dovrebbe essere come un vestito su misura, non uno preso dallo scaffale. Ma a quanto pare certa politica è ancora bloccata nel passato. Speriamo che qualcuno dia un calcio al sistema e ci porti nel futuro.
Gabriele Fava, 16 novembre 2023