La prima cosa che si coglie del video promozionale di Ilaria Salis è che qualcosa non funziona, qualcosa non torna. Quegli occhi sbarrati, quei lampi di incongruità nelle espressioni, quel sottolineare con impercettibile ma inquietante ritardo i concetti, in verità poca cosa. Non un bello spettacolo al punto da ingenerarti una specie di rimorso per i tanti articoli in cui l’hai massacrata. Poi vai avanti e scopri che dietro quegli sfasamenti ci sarà magari l’ingenuità perniciosa di chi non sa crescere ma certo non innocenza, se mai calcolo, malizia: eccola mostrare il bracciale elettronico che è come le catene di Jackob Marley, eccola definirsi con voce incerta, adolescenziale ancora, una martire antifascista.
Recita, è chiaro, un copione magari preparato da altri, non dal padre che quanto a strategia non sembra messo meglio. Ha cura questa eterna adolescente gruppettara, accusata dagli ungheresi di violenza politica, di non citare mai i presupposti che ne fanno una detenuta in attesa di giudizio; nella sua autopromozione non le resta che percepirsi la vittima di un potere oscuro, naturalmente fascista, che l’ha presa e rinchiusa a suo criminale arbitrio. Come se le 4 condanne pregresse, i 29 precedenti di polizia, le segnalazioni tra le polizie di mezza Europa non contassero, come se non ci fossero.
“Sono candidata a Bruxelles ma non sono una politica”, dice la “insegnante precaria” che non rinuncia al qualunquismo populista, “io ho sempre fatto politica in altri contesti”, per non dire che la sua politica stava nei raduni caotici e vagamente malavitosi dei centri sociali, delle ronde di picchiatori, “cacciatori di nazisti”, pensa un po’ che bella idea di politica democratica e dialettica, per di più nel Paese sbagliato.
Sfasata forse, demagogica certamente e capace di cavalcare la mistica del compatimento: “Sono una antifascista e l’arresto ha sconvolto la mia vita, sono uscita ma sto ancora lì dentro”. Guai a ricordare che l’arresto avviene per presunte aggressioni, violentissime, a due manifestanti di fede opposta, comunisti addosso a nazisti a colpi di bastone, calci e pugni a sfondare le facce, a cancellare i lineamenti. Lei, la tenera, confusa insegnante precaria, che ingiustizia però questo Stato che non si decide mai e però secondo logica comunista è l’unica soluzione, forse “ce ne vorrebbe di più”, come dice il presidente Mattarella dell’Unione Europea, questa quarantenne fortemente decisa a non crescere, dietro la mistica adolescenziale dell’egualitarismo utopico, ha “intenzione di battermi per un’istruzione di qualità e contro le ingiustizie del mondo”.
E gli impresari Fratojanni&Bonelli l’hanno candidata per fare un favore, da ricambiare a tempo e modo debito, s’intende, all’ereditiera svizzera Elly.
Non si era mai vista una anarchica antisistema così fortemente determinata ad entrare nel sistema di un sovrastato del conformismo finanziario, ma a questo mondo, in questo tempo se ne vedono di ogni e così la nostra antifascista può concedersi le frasi del patetismo letterario che non dispiacciono ai borghesi illuminati ma inteneriscono anche i compagni d’avanguardia: “Vorrei fosse la solidarietà non la paura il faro che guida l’Europa”.
Come no, l’Europa provvidente e paternalistica che dice: se non ti vaccini le dieci volte ti imprigiono, se non butti giù casa per farne una serra non hai più una casa, se non rottami la tua macchina per un trabiccolo elettrico che può esploderti sotto al sedere vai a piedi anzi non ti muovi proprio. E così via, di dirigismo in dirigismo, di follia in follia repressiva.
Il programma politico, che anche noi avevamo sollecitato, non c’è: c’è lo spot, incerto, a tratti straziante, altrimenti irritante, di una che sta dicendo: l’unico modo per uscire dall’incerto esistenziale e forse da una ventina d’anni di galera è farmi eleggere al Falanesterio autocratico sovrastatale, in uno di quegli ultrapoteri spaventosi e autoreferenziali, comunque bancari e ultracapitalistici, tutto tranne che proletari e rivoluzionari, che Lorenzo Castellani ha ben raccontato nel suo “Il Minotauro”.
Ma Ilaria, la compagna Ilaria, la precaria Ilaria non ha l’aria né l’aura di una che legga molto. Certo il bagaglio ideale e intellettuale rifulge di desolante latitanza. Ma i “veri” intellettuali, come il Toni Negri di padovana alienazione, a pestare e a sparare ci mandavano, nel disprezzo classista, la manovalanza primitiva e aprioristica, loro non uscivano dai loro piccoli falansteri, la casa-studio, l’ufficio baronale all’università.
Ilaria, che vuole allevare nuove generazioni al culto antifà, ingannata da se stessa, si atteggia come una influencer del sovversivismo, ma, ahilei, neppure per questo è tagliata: le hanno messo in bocca parole vittimistiche ed elementari, l’hanno convinta a posare mostrando la cavigliera elettronica ma l’effetto è devastante, del patetismo tragico o tragicomico.
Poi, certo, votare, come leggere, come comprare, come ogni altra scelta a questo mondo implica un atto di responsabilità. O il suo contrario, l’irresponsabilità goliardica o ringhiosa, magari anche quella solidarietà disperata fra disperati, incapaci di cavarsela ma almeno una di noi ce la può fare e allora votiamola fingendo che per una quarantenne passi la rivoluzione Godot che più la aspetti e meno arriva, che un tempo passava, come diceva il poeta, “per il buco del culo” e oggi per gli orifizi social che consentono guadagni colossali per chi li sa usare ma per gli altri, i poveri, i disperati, gli irrisolti, i sommersi, lasciano tutto come sta.
Max Del Papa, 7 giugno 2024
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