Esteri

Quale sarà il ruolo di Bannon col ritorno di Trump

Capo-stratega della prima campagna elettorale di tycoon, poi cacciato a seguito di dissidi con l’inner circle trumpiano

© Khwanchai Phanthong's Images tramite Canva.com

Nelle pieghe della variegata amministrazione della nuova presidenza Trump che sta prendendo forma, vediamo riapparire un nome a noi noto: Steve Bannon.
Sebbene egli non abbia avuto, almeno ufficialmente, ruoli codificati nella campagna elettorale che ha riportato alla Casa bianca Donald Trump, Bannon, come da sua stessa ammissione, ha contribuito a fornire un significativo supporto strategico al nuovo presidente americano. Capo-stratega della prima campagna elettorale di Trump, poi cacciato a seguito di dissidi con l’inner circle trumpiano (specie con la figlia Ivanka) ora del tutto rivoluzionato, Bannon ha attraversato alti e bassi e qualche inconveniente giudiziario.

In una recente intervista ha avvertito la vecchia Europa che le cose stavolta potrebbero davvero cambiare sia in tema di difesa che di mercato. Ciò che forse più affascina di Bannon è il suo variegatissimo retroterra culturale. Multiforme e un poco approssimativo, come si addice ad un vero americano abituato a possedere più capitale intellettuale che culturale, egli spazia nei suoi riferimenti da Guillaume Fayes a René Guénon, da Alexander Dugin (il cosiddetto teorico dell’eurasiatismo tanto ascoltato da Putin) a (dicono) Julius Evola. Su quest’ultimo, tanta autorevole dottrina non è concorde, specie se si considera l’innegabile tratto populista del pensiero di Bannon e lo si rapporta con lo spiccato elitismo dell’opera evoliana. Spesso Bannon ha utilizzato la parola sanscrita dharma, “dovere”, ma anche “posto nel mondo” e “compito divino” secondo il fondamentale testo dell’induismo classico Bhagavadgītā. Forse un recupero del dimenticato “destino manifesto” del popolo americano, ossia il compito divino di ergersi al di sopra degli altri popoli fratelli, da tempo sepolto sotto la melassa woke. In questo senso si inquadrerebbe anche l”‘internazionale populista” (già dal nome è evidente il cortocircuito destra-sinistra) da lui propagandata mettendo insieme le destre populiste ed euroscettiche della vecchia Europa e non solo, chiaramente a guida Usa.

Tutta la cosiddetta Alt-Right, la destra alternativa americana, di cui egli è apicale esponente, si presenta come un singolare miscuglio di dottrine novecentesche concernenti lo spazio vitale, il rifiuto della mondializzazione, il nazionalismo, la supremazia dei tratti culturali occidentali con le sue derivazioni giudaico-cristiane che, a detta dello stesso Bannon, dovrebbero orientare anche il mercato. Rifiuto del liberismo e terrore del tecno-comunismo cinese considerato il vero grande nemico del presente e del futuro, oltre che un riavvicinamento (era ora!) alla Russia in quanto portatrice degli stessi valori del perduto Occidente cristiano che ormai non compare più nei discorsi di Vladimir Putin se non con toni aggressivi.

Anche Edmund Burke figura tra i riferimenti culturali di Bannon, teorico anti-rivoluzionario a cui si deve forse il sospetto dell’ex capo-stratega verso tutta la recente eccessiva secolarizzazione oltre che la volontà di distruggere i simboli del passato (che cos’è una rivoluzione se non questo?!) considerati vergognosi.
C’è da dire che l’Alt-Right è un calderone assai variegato che strizza non poco l’occhio, in modo superficiale come si addice al pensiero made in Usa, a molte tristi pagine del passato (nazismo, razzismo, anti-femminismo, xenofobia), elementi da cui Bannon si tiene ben lontano anche se fanno sempre comodo ai fini elettorali. Di buono c’è il rifiuto della devastante ideologia neo-con che tanto male ha arrecato al mondo intero ed una volontà di riavvicinarsi a ciò che in comune, per tradizione e culto, hanno i popoli a tradizione cristiana.

Certo al comando vi è un presidente che non pare avere molto in simpatia quel mondo culturale a cui Bannon forse si riferisce, preferendo la “concretezza” al pensiero, il decisionismo alla strategia. Che appaia un barlume di radice culturale nell’agire politico americano, dopo decenni di confusione aggressiva, non può essere che un bene. Tutto dipenderà da quanto e chi Trump ascolterà in questo secondo, decisivo, mandato presidenziale.

Francesco Teodori, 14 novembre 2024

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