Politica

Quando Di Maio diceva: “Molli il partito? Dimettiti”

“Abbiamo deciso di lasciare il M5s, che da domani non è più la prima forza in parlamento. Da oggi inizia un nuovo futuro. Una forza politica matura dovrebbe aprirsi al confronto, al dialogo, all’esperienza maturata dentro le istituzioni che ci avrebbe dovuto far capire che alcune posizioni del passato erano sbagliate”: così il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha annunciato la rottura con il Movimento 5 Stelle.

Una separazione annunciata, detta fra le righe ed esplicitata ieri prima del discorso del Premier Draghi in Senato. Ed è così che Di Maio, una volta in prima linea di quella che chiamava “famiglia”, ha deciso – con a seguito circa 60 parlamentari – non solo di abbandonare il Movimento, legittimo, ma di creare una nuova forza politica.

“Insieme per il futuro”: così si chiama la creatura appena nata che, come ha spiegato il Ministro, si basa sulla verità: “Se c’è una parola che deve essere al centro di un nuovo percorso per il paese è verità. Le persone stasera non vogliono presentare liste personale o di esibirvi un simbolo. Noi ci mettiamo in cammino e vogliamo partire dai territori”. Parole accolte con un grande applauso alla conferenza stampa post-divorzio che, però, vanno inevitabilmente a scontrarsi con quei principi che proprio Di Maio paventava non più tardi di qualche anno fa.

“Se vieni eletto con il Movimento 5 Stelle e scorpi di non essere più d’accordo con la sua linea hai tutto il diritto di cambiare forza politica – affermava in un tweet il Ministro nel non lontano 2017 – Ma ti dimetti – aggiungeva – torni a casa e ti fai rieleggere, combattendo le tue battaglie”.
Un invito, quello dell’ex guerrigliero Di Maio all’onestà intellettuale che le cariche istituzionali dovrebbero avere.

“Chi cambia casacca tenendosi la poltrona – si legge ancora – dimostra di tenere a cuore solo il proprio status, il proprio stipendio e la propria carica”. La descrizione perfetta di ciò che il Ministro ha fatto ieri, praticamente. “Non so voi – proseguiva – ma a me piace l’art. 160 della Costituzione del Portogallo: “Perdono il mandato i Deputati che s’iscrivono a un partito diverso da quello per cui erano stati eletti”.

Parole ghiotte al consenso elettorale, quelle affermate nel 2017, nel pieno dell’attività propagandistica del Ministro, intrisa di coerenza improvvisata e luoghi comuni che si sono sciolti come neve al sole. È innegabile che, in quel momento, l’opposizione al sistema era il caposaldo del Movimento, l’ancora a cui i 5 Stelle – con Di Maio nelle prime fila – si sono agganciati per far leva sulla famosa “pancia del paese”, quel paese a cui sono state distribuite caramelline placebo e che, nel tempo, sono state complici nel trasformare l’Italia nella beffa europea.

Verrebbe da chiedere, oggi, al ministro Di Maio piace ancora la costituzione del Portogallo o ha, magari, virato verso quella smania di potere – da lui tanto criticata – che porta alla voglia incontenibile di rimanere incollati a quelle poltroncine?

Bianca Leonardi, 22 giugno 2022