Più di Settant’anni dopo la tragedia delle foibe, è arrivato il momento per tutti gli italiani di superare il pregiudizio che ancora permane verso le uccisioni di massa perpetrate dai partigiani comunisti titini nei confronti degli italiani nel confine orientale negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale.
Le parole del Presidente della Repubblica Mattarella segnano una volta per tutte un punto di cesura rispetto a chi ancora oggi vuole negare o ridimensionare quanto accadde: “Il comunismo scatenò, in quelle regioni di confine, una persecuzione contro gli italiani, mascherata talvolta da rappresaglia per le angherie fasciste, ma che si risolse in vera e propria pulizia etnica, che colpì in modo feroce e generalizzato una popolazione inerme e incolpevole”.
Non è ammissibile che ancora oggi in varie parti d’Italia il 10 febbraio, in occasione della Giornata del Ricordo, si assista ad atti vandalici contro lapidi, monumenti, luoghi che ricordano le vittime delle foibe. Così come non è ammissibile continui a circolare la storia della resa dei conti nei confronti dei fascisti quando tutta la storiografia ufficiale ha appurato che vennero uccise centinaia di persone con la sola colpa di essere italiane. In una democrazia non si può accettare ci sia ancora chi considera questa ricorrenza una giornata di serie b, cercando di giustificare quanto avvenuto nel confine orientale e diffondendo (magari anche in luoghi istituzionali) teorie negazioniste o revisioniste.
Il superamento del clima d’odio e di scontro che si denuncia quotidianamente in Italia, parte da una memoria condivisa che non transiga sull’uccisione di centinaia di italiani ma faccia del ricordo di quanto accaduto, un elemento di coesione nazionale. L’assordante silenzio a cui ogni anno assistiamo anche da parte di chi ricopre ruoli istituzionali, dalle amministrazioni locali al parlamento, il tentativo di rimuovere quanto accaduto, la vergogna a parlarne cercando di sminuire la portata dell’evento, la reticenza a raccontare delle foibe di tanti professori nelle scuole, non possono essere più accettati e vanno denunciati a gran voce.