Quant’è povera la ricca separazione tra Fedez e Ferragni

I Ferragnez trovano l’accordo: niente assegno per lei, la retta di scuola dei figli la paga lui. Non impariamo mai

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Ferragni Fedez (2)

Tiene banco il divorzio dei Ferragnez e uno pensa: anche i ricchi ridono. Dopo il divorzio, perché hanno, come si dice, “trovato la quadra” su questioni surreali, a maggior ragione in due individui sulla trentina dalle non eccelse capacità. Anche i poveracci ridono, magari amaro, a scorrere i termini dell’accordo: lei pare volesse 20mila al mese per il mantenimento dei figli, povere stelle, fortuna che c’è un giudice a Milano ancora provvisto di buon senso: ma se fatturi milioni all’anno. E gliel’ha rigettata.

In compenso, papà Fedez si accolla le spese per l’educazione in scuole privatissime, esclusive, rette da venticinquemila euro l’anno: e questi erano i paladini del servizio pubblico, gli hegeliani inconsapevoli che mettevano lo Stato su tutto, come idea somma, purissima, dalla sanità alla cultura, gli insigniti dell’Ambrogino d’oro per meriti sociali, i candidati in pectore della sinistra lei piddina lui grillina? Ah, che davvero a questo mondo se ne vedono di tutte, di tutte! Ma dove davvero la faccenda si fa lunare, è sulla gestione della prole: ci son voluti gli avvocati, appellantisi al Garante. Per l’infanzia? No, per la privacy: i baby ex Ferragnez potranno venire “esposti” solo a determinate condizioni e previo accordo dei genitori. Una volta i separandi litigavano sull’affidamento, su chi doveva smazzarseli nei fine settimana, con relativi dispetti, adesso su chi li “selfa” sui social. Poveri, ricchissimi figli.

E questo è molto, molto indicativo dei tempi e anche molto, molto alienante. Questi poveri figli, baby nababbi ma a loro modo vittime! Che uno non sa se concepiti per volontà, per allegria, per serata alcoolica o per investimento: è stato calcolato che un moccioso figlio di famosi vale, in Italia, sui 2 milioni l’anno a partire dall’ecografia. Li chiamano creatori digitali, ma di che?

Così finisce la famiglia felice, non da mulino bianco ma da city life, da bosco verticale: felici e contenti anche se lei dal tracollo del pandoro non ne ha più imbroccata una, le hanno pure commissariato l’impero per manifesta incapacità di gestire alcunché e su di lui meglio non dire: speriamo che ‘sti poveri, ricchissimi figli restino il più possibile nella scuola extralusso, che non si ritrovino invischiati in certe frequentazioni da curva, da affari spericolati, da disfida di Barletta, tredici marcantoni contro tredici per questioni di visibilità cretina.

Non erano la coppia perfetta, felice, lui che si inginocchia (davanti a uno stadio pieno) e le mostra l’anello di fidanzamento, lei che simula la sorpresa e commozione delle sartine, delle commesse, scena provata e riprovata chissà quante volte? Cinque anni o quello che è, un buco d’immagine e di conti dovuto a una oscena beneficenza egoriferita, sui crani lucidi dei bimbi oncologici, e tutto che va in fumo, polvere di stelle social. Quando c’è l’amore! E già spuntano fuori gli sciacalli a dire che no, erano una coppia aperta, tutti e due, noi abbiamo le prove, l’osceno rivoltarsi nel fango della morbosità, della pornografia per le masse pippaiole e guardone; e già c’era stato lo scazzo di Sanremo, lui a slinguarsi con un altro cacciatore di copertine, tal Rosa Chemical, lei con gli occhi sul pavimento, ma sei matto, adesso come la mettiamo con quelli di Amazon che ci fanno la sitcom su di noi?

Non è mai per soldi: è sempre per soldi. Solo per soldi, anche l’amore anche il dolore, e questo sarebbe quello che si dice essere imprenditori digitali: gente nel mercato dei fantasmi, delle illusioni, dei valori fasulli come i sorrisi, della conta dei gonzi che, come insegna la mamma putativa di tutti loro, Wanna Marchi, non finiscono mai e “vanno inculati”. Ce l’hanno fatta singolarmente per un decennio abbondante, lei a sponsorizzare pelliccette e patatine, lui con le filastrocche rap ricalcate dai sixties di Edoardo Vianello e sorrette da Orietta Berti, poi, da accoppiati, hanno retto lo spazio di un pugno di calendari.

Ma tutte le cose belle, le storie belle finiscono. Che si potrebbe anche dire, come Abramo Lincoln: puoi far fessi tutti per un po’ e qualcuno per sempre, ma tutti per sempre no. I furono Ferragnez, a forza di illudersi onnipotenti nell’arte degli imbonitori, si son fatti fessi a vicenda: sponsor in migrazione, a stormo, inchieste, situazioni anche miserabili come lui che chiama certi pendagli da forca per farci affari o farsi scortare, e quelli poi finiscono in una retata di polizia perché, dopo San Siro, volevano spartirsi la metropoli tutta. E gli hanno dato l’Ambrogino d’Oro, ma adesso il sindaco Sala finge di niente. E volevano candidarli, ma adesso nessuno ha mai sentito parlare di loro. Ma lei, Chiara, faceva campagna per l’aborto mentendo, “nelle Marche non è praticabile”, lui vantava le sue amicizie e le sue pose coi di Battista, gli Scanzi, i Travaglio il quale gli dava il placet: “Fedez è l’unico che con le sue ottime provocazioni ha capito l’articolo 21 della Costituzione”. Testuale.

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Tutti quelli che facevano la fila, e ancora non ci si crede, e qualcuno davvero non avremmo voluto vedercelo, per farsi invitare al suo podcast, finito come tutto ciò che riguarda Federico Lucia in arte Fedez in un turbine di guai, litigi, veleni, miserie anche psichiche. Smemore anche il nostro Mattarella che si prestava agli scatti al gran premio di Formula Uno, praticamente una protezione, una investitura.

E guardali adesso. Si è sciolta la società, dalla ragione sociale incerta ma meglio non precisare, non indagare. O forse è l’ennesimo trucco e tra un po’ si rimettono insieme, come le boy band di un tempo che poi si ritrovano pateticamente invecchiate. Sempre per i soldi, solo per i soldi, con una sorta si direbbe di disperazione, non quella degli arricchiti ma l’altra, di quelli col complesso dell’usurpatore, di chi non merita quello che ha e lo sa e si fa male, si punisce, ma non sa fermarsi, deve accumularne ancora, e ancora, terrorizzati all’idea di Fantozzi che al colmo dell’immaginaria ascesa perde tutto, la poltrona in pelle umana, il doppio ficus, il telefono rosso, il naif cecoslovacco, e casca per terra.

Insomma sapendo che prima o dopo l’incanto finisce. È finito. Sic transit gloria influencer, dai selfie esotici o erotici alle più prosaiche carte bollate, ma questa storia è molto, molto istruttiva o almeno dovrebbe esserlo: questo è quello che credete di fare, ragazzini, che volete fare delle vostre vite?

Invece la pianta storta dell’uomo non impara niente ovvero impara solo il male, lo perfeziona, lo fa salire di livello: durante il crollo, mediatico, di credibilità, esistenziale dei Ferragnez ci fu una che riuscì a simularsi in terapia oncologica, il reticolo di flebo, di cannule nelle vene ma all’altro estremo non le terribili medicine, il veleno per bruciare il veleno, ma alcune borse griffate da decine di migliaia di euro. Quando le hanno fatto notare che non era il massimo, tenuto conto che la collega influencer Chiara era caduta per una orrenda storia di falsa beneficenza con la scusa dei bambini malati, quella ha commentato: “Cazzi vostri che siete poveri e non avete ironia”. Poi quelle del “Calippo tour”, che sarebbe un giro d’Italia a colpi di rapporti orali, non è chiaro se ad estro o a tariffa, e quell’altra ancora che si sdegna: “Io studiare? Ma come vi permettete. Studiare è da cesse sfigate, io la do e vivo felice”. E la interpellano sullo scibile umano: vaccini, scenario mediorientale, rielezione di Trump.

Max Del Papa, 11 novembre 2024

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