Quanto è inutile la Giornata contro la violenza sulle donne

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Personalmente non ho nulla da eccepire quando si organizzano manifestazioni di ogni tipo per contrastare la violenza sulle donne, così come la violenza in tutte le sue forme e sfaccettature. Tuttavia la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne”, istituita da una risoluzione dell’Onu del 17 dicembre del 1999, nella sua enunciazione esprime un concetto abbastanza ingenuo, se non addirittura stupido. Ossia la pretesa che si possa abolire del tutto attraverso molte mobilitazioni e molte chiacchiere la medesima violenza. Una pretesa che certamente piacerà a tutte quelle anime belle, non poche in verità, che a commento di un mio precedente articolo sull’argomento hanno dichiarato che pure una sola vittima di femminicidio è troppo.

Tra l’altro la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite sembra che da tempo si sia specializzata nell’apporre timbri e bollini a tutta una serie di edificanti obiettivi altamente desiderabili, tralasciando però di fare i conti con la dura realtà di un mondo che ancora oggi è come lo raccontava Cat Stevens in una sua famosissima canzone durante gli anni ruggenti della contestazione giovanile: “Wild World”.

Tant’è che attualmente ci sono interi sistemi politici in alcune ben conosciute zone del Pianeta in cui la condizione femminile non è lontanamente paragonabile a quella che godono, dopo secoli di lenta ma graduale evoluzione sociale, le donne dei Paesi che condividono il modello di sviluppo occidentale.

Eppure basta leggere un fondamentale passaggio delle citata risoluzione per comprendere lo strabismo che alberga da sempre nel Palazzo di vetro: “Qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata.”

Bene, mi sembra evidente che partendo da un tale presupposto c’è qualche centinaia di milioni di donne che nel mondo subiscono ogni forma di oppressione, rischiando persino di perdere la vita per non aver correttamente indossato il velo, o che vengono addirittura lapidate – forse la forma più barbarica per eseguire la pena capitale – per presunte infedeltà coniugali. Per non parlare dei matrimoni combinati, delle orrende infibulazioni e di altre pratiche abominevoli che persino in Occidente vengono esportate dai membri di determinate culture. Come non ricordare, in questo caso, la clamorosa assoluzione di un cittadino bengalese che, accusato di picchiare e violentare la moglie, è stato assolto dal Tribunale di Brescia proprio in considerazione proprio della sua diversità culturale.

A questo punto, visto che questi grandi baracconi internazionali non fanno altro che sfornare ambiziosi obiettivi verso cui condurre lo sterminato e confuso gregge umano (in tal senso ancora riecheggiano nelle nostre scettiche orecchie i proclami dell’Oms per la definitiva abolizione del Sars-Cov-2; proclami ovviamente finiti al macero delle buone intenzioni), si potrebbe alzare ulteriormente l’asticella, organizzando la giornata universale per l’eliminazione di ogni forma di violenza, così da confermare l’assunto rousseauiano secondo il quale l’uomo è buono di natura, un “buon selvaggio”, ma che viene poi corrotto in seguito dalle convenzioni imposte dalla società.

Certo, immagino che per togliere le millenarie incrostazioni che alimentano la violenza dell’uomo sulla donna e dell’uomo sull’uomo ci vorrà molto tempo, forse un tempo ancora più lungo di quello che l’homo sapiens ha impiegato per raggiungere gli attuali, imperfetti livelli di civiltà, ma siamo sicuri che ci riusciremo. Parola di giovane marmotta.

Claudio Romiti, 25 novembre 2024

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