Francesco d’Assisi prometteva ai suoi seguaci un comodo quartino con aria condizionata e tivù? No: fame, freddo, fatica e sudore. E mise in piedi un ordine religioso che sfida i secoli. Prima che il direttore Sallusti mi giubilasse in tronco, avevo alle spalle ben trent’anni di onorato servizio al «Giornale». Rubrica «Il Santo del giorno». Stessa cosa avevo fatto per cinque anni su «Avvenire». Dunque, me ne intendo.
Ebbene, sappiate che quando un ordine religioso cominciava a languire, arrivava un Santo che lo rifondava. Cioè, lo restaurava. Come? Riportandolo alla primitiva rigidità della Regola. Se non riusciva, ne creava un nuovo ramo. Per restare in tema di francescani, fu così che nacquero l’Osservanza e, quando anche questa prese a illanguidire, i Cappuccini, che andavano scalzi e non si radevano. Quelli di Padre Pio, per intenderci.
Tutto questo ho detto perché nella Chiesa l’unico «aggiornamento» che funzioni è la «restaurazione». Cioè, il contrario di «adattamento» ai tempi sempre mutevoli. Un grande esempio storico: la crisi luterana che spaccò la cristianità. La Chiesa rispose con «aperture»? Macché: tre giri di vite, col Concilio di Trento.
Tutto questo doveva per forza di cose essere ben chiaro a Joseph Ratzinger, alias Benedetto XVI, il «papa colto» che la storia del cristianesimo conosceva meglio di me. Fin da subito, non scelse per sé un nome folklorico, ma uno tradizionale. Con calma, ripristinò la croce astile al posto di quella col crocifisso squinternato. Addirittura l’antico camauro, il copricapo papale come lo si vede nei dipinti rinascimentali.
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Ma le sue attenzioni maggiori le riservò alla liturgia, anche se dovette muoversi con passo felpato conoscendo i suoi polli. Fu lui a creare l’«anglorum coetus», cioè ad aprire le porte a tutti quegli anglicani che, stufi di nozze gay e vescovi trans, volevano tornare a casa come il figliol prodigo. Perché è un suo merito? Perché prima le conversioni al cattolicesimo venivano scoraggiate dagli stessi preti, convinti che l’«ecumenismo» avrebbe sanato la storica frattura di Enrico VIII. Invece, si era allargata vieppiù, essendo il clero anglicano convinto che sposando le ideologie mondane sarebbe sopravvissuto.
Ratzinger non aveva nascosto, nei suoi libri precedenti al pontificato, la sua simpatia per la liturgia tradizionale, la messa di san Pio V, in latino e con le spalle ai fedeli. Scriveva che la messa moderna aveva tolto Dio dal suo centro e ci aveva messo il prete, col suo talento di intrattenitore. Sapeva bene che il risultato era la noia, la banalità, la perdita del senso del sacro. Ma sapeva altrettanto bene che il clero post-conciliare non avrebbe rinunciato alla messa a propria immagine e comodo. Perciò, procedette per gradi, cominciando col permettere l’antica messa a quelli che la volevano. Era perfettamente conscio del fatto che avrebbe incontrato fiera resistenza proprio fra i suoi. Sì, perché una messa a misura di prete ha come suo disperato difensore proprio il prete.
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«Pregate per me, perché io non scappi di fronte ai lupi», aveva detto nel suo discorso d’esordio. E oggi la Chiesa è letteralmente circondata. Ci sono squali nell’oceano internazionale che possono mandarla in bancarotta quando vogliono. C’è Hollywood che ogni tanto cava fuori opere, ovviamente subito premiate, sulla pretesa pedofilia del clero cattolico (e solo su esso). Ci sono giornalisti che scoprono abusi nei collegi tenuti da suore, magari con omicidi (Canada) o neonati venduti all’insaputa della madre (Belgio). Poi si viene a sapere che non era vero niente, ma la smentita – al solito – non vede mai la luce, in ogni caso non con la stessa enfasi. E poi ci sono lupi anche all’interno dell’ovile, e Ratzinger lo sapeva bene. E alla fine, vecchio e assediato in un muro di gomma, preferì defilarsi.
Benedetto XVI era un uomo mite, ma per fare quel che aveva in mente ci voleva ben altra tempra di combattente e stratega. Il suo successore sta provando a fare l’opposto. È una strategia anche questa. Stiamo a vedere.
Rino Cammilleri, 30 dicembre 2023
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