Come ogni anno in primavera, insieme alle rondini, si ripresentano i festival dell’economia in cui sfilano i carri allegorici delle teorie economiche “scientifiche” aggiornate, con le quali si spiegano tutti gli elementi dello scibile e si propone un modo virtuoso di spendere il denaro pubblico per i successivi 50 anni, così da garantire il bene comune.
Un turbinare di ricette e piani pluriennali in cui si fa a gara a chi la spara più grossa, argomentando sulla base di teorie economiche che immancabilmente premiano chi spederà di più, grazie ad architetture stataliste che si promettono di calcolare e di risolvere praticamente tutto. Quest’anno i temi in primo piano sono cosette da niente come ad esempio “creare un nuovo ordine mondiale” oppure “come affrontare la sfida dei cambiamenti climatici”.
I festival dell’economia salvano il mondo con ricette infallibili che possono anche fruttare un premio Nobel, oltre a diventare il riferimento per la politica su come indirizzare le risorse finanziarie pubbliche nelle direzioni più disparate. Una gara a spendere, e pur di spendere i soldi degli altri ve bene tutto e il contrario di tutto.
A proposito di Nobel, scriveva Sergio Ricossa nel suo formidabile “diario immaginario”, ambientato nell’anno 2450, dal titolo Maledetti economisti – Le idiozie di una scienza inesistente (Rizzoli – 1996): “Prima o poi lo ottennero tutti, o quasi, gli economisti e le economiste capaci di scrivere in inglese. L’economia è l’unica materia in cui si premiarono sia il sostenitore di una tesi sia il sostenitore della tesi opposta. […] Vassilij Leontief, inventore delle “tavole input-output”, tanto ingombranti quanto superflue, si vantò di essere l’economista che più fece spendere i governi. Fu premiato col Nobel nel 1973”.
Continuando a dare retta ai presunti grandi economisti dalla spesa facile, abbiamo visto finire fuori controllo il debito, la spesa pubblica, il carico fiscale e la finanza creativa dei bonus e delle prebende. Eppure qualche economista serio a cui dare retta lo abbiamo avuto. Come Luigi Einaudi, ad esempio, sempre riverito e mai applicato, che intitolò a proposito il suo ultimo libro “Prediche inutili”.
Nel suo recente libro dal titolo In nome della libertà (Piemme – 2024), Paolo Del Debbio elenca una serie di personalità intellettuali che costituirono, agli inizi degli anni novanta, il riferimento culturale e filosofico per le idee della tradizione liberale italiana a cui si ispirò il suo lavoro. Ad un certo punto ci si imbatte in questa definizione: “Sergio Ricossa: si può dire senza tema di smentita che fu il maggiore economista liberale italiano del dopoguerra. Socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, ha pubblicato saggi fondamentali di teoria economica e scritto numerosi articoli di divulgazione. Economista cosiddetto ‘imperfettista’, fu tra i pochi veri liberisti italiani”.
Ma nelle nostre scuole, nelle università e nei nostri festival dell’economia tutto questo è ignorato e nascosto. Sfilano, invece, gli economisti “perfettisti”, sempre gli stessi e sempre con le stesse ricette stataliste che ci guidano verso un mondo “perfetto”.
Fabrizio Bonali, 27 maggio 2024
Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).