Dopo Palazzo Chigi e Consulta, presto anche la Ragioneria generale dello Stato indosserà la gonna. Grazie ad una ardita manovra di Palazzo, è in arrivo la ‘‘ganzissima” Daria Perrotta, da sempre pupilla del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. L’anno scorso, l’eminenza grigia della Lega non era riuscito ad insediarla come capo di gabinetto del Mef, dove invece aveva dovuto piazzare il modesto Stefano Varone il quale, sulla scia del suo ministro, non si è certo dimostrato un cuor di leone.
La tenace Perrotta, invece, per scalzare dall’incarico apicale del prestigioso dipartimento di via XX Settembre una vecchia volpe della Ragioneria come Biagio Mazzotta, è riuscita a contare addirittura sull’endorsement, insperato, di un’altra “gonna”, quella di Alessandra Dal Verme, cognatina preferita del commissario Gentiloni e in buoni rapporti con il Pd a cui la coppia Meloni-Mantovano, in fatto di nomine, abbaia ma certo non morde.
Dal Verme, direttore generale del Demanio, dov’è sotto tiro per aver scatenato un pesante contenzioso con i fondi patrimoniali, è da sempre in conflitto con Mazzotta al quale voleva sfilare persino la poltrona per accomodarcisi lei.
Tuttavia, capito che non aveva ormai più chance, ha ceduto il passo. Ecco, quindi, che è partita “l’operazione Barbarossa”, con le due Thelma e Louise, come vengono soprannominate al Mef, che hanno messo più volte “sotto i tacchi” il malcapitato Mazzotta davanti alle commissioni parlamentari. Viene in mente la celebre frase del film detta da Thelma: “Non mi dispiace affatto che quel tizio sia morto. Mi dispiace solo che non l’ho ammazzato io”.
Vedremo se la nomina della Perrotta si rivelerà – quota rosa a parte – una scelta giusta, anche in vista del gravoso compito della Ragioneria per la “bollinatura” delle coperture della Finanziaria. Non come il cambio della guardia alla direzione generale del Tesoro dove, al posto dell’infaticabile Alessandro Rivera, dirigente ben visto a Bruxelles, è arrivato Riccardo Barbieri Hermitte che per il momento si è fatto notare solo per apprezzare di più i week end rispetto ai giorni di lavoro.
Intrighi di palazzo a parte, al Mef e dalle parti del Pnrr l’aria che tira non è delle più salubri, tanto che il ministro Raffaele Fitto sente carenza di iodio rispetto alle estati in barca dei bei spensierati vecchi tempi. Il timore è che, seppure la Commissione Ue ha appena sbloccato 18,5 miliardi di finanziamenti arretrati, questi soldi rischiamo di doverli restituire per non averli messi in cantiere. Il danno che ne deriverebbe è doppio: non solo per il buco di bilancio che si potrebbe creare, ma anche per gli effetti nefasti sulle prospettive di crescita della nostra economia. Problema di non poco conto, considerato che, dal prossimo anno, tornano in vigore i vincoli di bilancio di Bruxelles su debito e deficit pubblici.
La Commissione europea non fece rilievi quando il governo targato Draghi presentò come nuovi dei progetti che, in realtà, aveva già avviato prima del Pnrr con fondi nazionali, di fatto riciclandoli. Ora invece non riconosce lo stato di avanzamento dei lavori di questi progetti perché non documentato a dovere. Ad oggi le uniche risorse del Pnrr davvero utilizzate sono quelle per le strutture di missione create ad hoc nei vari ministeri, che l’attuale esecutivo sta via via azzerando per sostituirne i vertici. L’ennesima imbarcata clientelare, insomma.
Con il risultato di creare, benedetta dal ministro Paolo Zangrillo, una struttura di fatto parallela alla PA, con personale entrato senza concorso in barba alla Costituzione e con relativi costi duplicati dovendo pagare i nuovi dirigenti, ma anche i vecchi, che difficilmente desisteranno di buon grado, intasando di ricorsi l’amministrazione pubblica. Se da un lato si spende e spande, dall’altro si diventa sparagnini sugli alloggi per gli universitari, con la beffa che mesi fa, quando una studentessa mise la tenda in segno di protesta davanti al suo ateneo, tra i ministri si faceva a gara per tirar fuori l’idea meravigliosa. Ne beneficeranno le università telematiche, in gran spolvero in tutto il mondo, il cui modello di business vincente si basa proprio sulle lezioni da remoto in modalità asincrona. Il classico modus operandi all’italiana che non piace a Bruxelles e che ricorda tanto quello che proprio il ministro Fitto adottò in Puglia per la riforma della sanità quando era governatore: la sua idea era giusta, ma ne accentrò così tanto l’implementazione che, alle successive elezioni perse, sdoganando il rivale Nichi Vendola.
Da Bari a Bruxelles cambiano latitudine e clima, ma l’imprinting è lo stesso. Troppi segnali ormai dicono che Giorgia più che all’estero deve pensare a Roma.
Luigi BIsignani per Il Tempo 23 luglio 2023