Uno scoop è uno scoop e non si discute: si tratta di una notizia che tu puoi raccontare e che gli altri non hanno. E quello della Stampa sul chirurgo di Papa Francesco indagato per falso rientra pienamente nella casistica. Il noto professore, che per due volte ha aperto e richiuso il Santo Padre, già nel Cda della Fondazione Policlinico Gemelli, membro della Consulta vaticana per la sanità e direttore scientifico del Gemelli-Isola Tiberina, dovrà rispondere dell’accusa tutta da dimostrare di godere di questa sorta di ubiquità, ovvero della capacità di essere presente contemporaneamente su più tavoli operatori. Pubblici e privati.
Tecnicamente il fascicolo è stato aperto con l’ipotesi di reato di falso in atto pubblico. Sergio Alfieri, secondo un esposto depositato ai carabinieri del Nas e poi diventato indagine vera a propria, avrebbe firmato il registro degli interventi chirurgici anche se in più casi non era presente in sala operatoria, impegnato nelle varie riunioni o in visite private. A mettere le mani sui pazienti, insomma, sarebbe stata la sua equipe. Lui si dice “molto sereno”, è convinto di essersi “sempre comportato bene” e non dà spago a chi sostiene che tra i corridoi del Gemelli da tempo vi fossero dei malumori. Anche il Policlinico, respingendo il “tentativo di offuscare” il buon nome dell’ospedale, ha confermato la “massima fiducia nell’operato del professor Alfieri”.
Chi ha ragione? Vedremo a processo concluso. Quello che però in pochi hanno notato, tutti così attenti ad abbeverarsi alla succulenta storia, è il più classico degli scandali italiani. Ovvero che la notizia dell’apertura di un fascicolo di indagine ai danni di Alfieri è finita prima sulle pagine della Stampa che nelle mani dell’indagato. Il professor Carlo Bonzano, che assiste il chirurgo, assicura infatti di non aver “mai ricevuto alcuna contestazione o avviso dalla Procura” ma di aver appreso tutto “da notizie di stampa”. Dunque non conosce né “gli addebiti ipotizzati” né “gli elementi su cui si assume essi poggino”. Può sembrare un dettaglio, ma non lo è.
Nessuno mette in discussione il lavoro giornalistico dietro lo scoop, visto che a leggere il pezzo appare ben informato. E nessuno dubita delle “settimane di ricostruzioni giornalistiche ritenute credibili” che sono alla base dell’esposto, presentato dallo stesso cronista, da cui poi è nata l’inchiesta giudiziaria (secondo l’Agi, Paolo Festuccia avrebbe verificato di persona le assenze del professore in sala operatoria). Il giornalista, nel corso del suo scartabellare, ritenendo i fatti molto seri, ha deciso di rivolgersi alle autorità rinviando la scrittura del pezzo, e si può capire. Ma se avesse pubblicato le ricostruzioni del lavoro d’indagine senza attendere l’iscrizione nel registro degli indagati, non avremmo eccepito alcunché. Tuttavia non ci si può esimere dal denunciare un vulnus tipicamente nostrano: come già successo in passato, gli avvisi di garanzia -o le notizie su Tizio indagato per tal reato- continuano a comparire sui giornali prima ancora che il diretto interessato ne sia a conoscenza (per precisione: l’autore di un esposto che non sia parte offesa nel reato non ha il diritto di chiedere l’attestazione sullo stato del procedimento). E questo, al netto di ogni possibile addebito, non è ammissibile in uno Stato di diritto.
Giuseppe De Lorenzo, 14 dicembre 2023