Quel premio è pornografia dell’orrore

Il Team Picture Story of the Year assegnato al fotografo dell’Associated Press accusato di essere stato avvisato dai jihadisti

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Shani Louk

Dal 7 ottobre 2023 i giornalisti seri, ne sono rimasti così pochi che andrebbero protetti dal WWF, sono impegnati in due missioni impossibili, roba da far venire la pelle d’oca anche a Ethan Hunt.

La prima è far sentire le loro voci in mezzo alle urla della disinformazione, la seconda è prendere nota di ciò che viene propagandato in modo che alle generazioni future rimanga il ricordo di quanto triste sia stato questo periodo storico.

Montanelli diceva che i giornalisti sono i cani da guardia della democrazia, molti filosofi erano convinti che la libertà individuale è direttamente collegata alla circolazione delle notizie, mentre l’etica dell’informazione, lo so perché al contrario di molti imbrattacarte prezzolati l’ho studiata per diventare giornalista, nella cronaca obbliga a verificare le notizie e a riportarle in maniera quanto più completa possibile e a separare i commenti dai fatti.

Pertanto è giusto ricordare ai lettori che un giornalista è libero di scrivere o dire ciò che vuole nei commenti, ma ha l’obbligo etico e legale di riportare i fatti per come sono andati e nella loro interezza.

Tutto questo però, sia in generale sia e soprattutto per quello che riguarda la questione mediorientale è, purtroppo per la nostra libertà che sta sfuggendo come sabbia fra le dita, diventata lettera moribonda.

Se le regole etiche e filosofiche dell’informazione non sono ancora morte, lo si deve a quei pochi cretini che attaccandosi a principi morali tentano di svuotare con un secchiello l’oceano di falsità che vengono raccontate, ma soprattutto credute, come fossero verità incontrastabili.

Detto questo, prima di arrivare all’ultima porcata che è stata registrata, è giusto mettere ordine sulle troppe cose accadute dal 7 ottobre 2023. Ma anche da prima.

I titoli dei giornali e le aperture dei telegiornali si accendono e si infiammano sul Medioriente solamente quando le notizie riguardano Israele e i palestinesi, non importa se di Gaza, della Judea o della Samaria. Quando invece riguardano altre situazioni, e negli ultimi anni ce ne sono state tante, le notizie sono passate per dovere di cronaca e di approfondimenti neanche a parlarne.

Per cui, come nei migliori sceneggiati, è purtroppo necessario rinfrescare la memoria dei lettori su ciò che è accaduto nelle “puntate” precedenti, per quali motivi si è arrivati alla situazione attuale e quali possano essere le previsioni per il prossimo futuro.

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Quest’ultime basate sempre su tutti gli scenari possibili, non soltanto su quello che fa comodo alla linea editoriale di chi compila la busta paga o degli amici che fanno arrivare il regalo a Natale, a Pasqua, nei compleanni o in ogni altra occasione utile. Durante l’anno ce ne sono tante, basta saper aspettare.

Capitolo a parte merita l’Onu che almeno nelle intenzioni era partita come un’istituzione seria al di sopra delle parti, l’Onu, la prova indiscutibile che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, l’Onu, quella che avrebbe dovuto prevenire le tensioni nel mondo ma che invece, dopo la sua trasformazione, è diventata negli anni una sorta di circo equestre con le sue associazioni, Unrwa docet, addirittura alleate del terrorismo internazionale.

L’Onu, con a capo António Guterres che nell’andare contro Israele ha superato tutti i suoi predecessori. Lo abbiamo visto piangere al valico di Rafah mentre denunciava il mancato passaggio dei camion con gli aiuti umanitari ma senza dire una parola, una che sia una, sul fatto, a provarlo ci sono decine di fotografie e filmati, che proprio quegli stessi camion vengono razziati dagli uomini di Hamas che rivendono al mercato nero quello che invece doveva essere distribuito gratuitamente alla popolazione civile.

António Guterres, che passerà anche lui alla storia come lo Smemorato di Collegno, anzi, scusate, come lo Smemorato di Rafah, sì, proprio smemorato visto che la sua prima visita ai kibbutz e nella città di Sderot, devastati dalla furia terroristica di Hamas, è riuscito a farla solo dopo più di un mese dai fatti e quando l’opinione pubblica mondiale, più smemorata di lui, si era ripresa dallo shock iniziale che l’aveva, ma sono momentaneamente, portata a solidarizzare con Israele ma che prontamente, sulla spinta della quasi totalità della stampa e della politica, era tornata sui suoi passi e via con le manifestazioni contro Israele e a favore dei terroristi di Hamas.

Hamas, badate bene, non hanno più neanche il pudore di nascondersi dietro alla frase fatta dei diritti ai palestinesi generici.

António Guterres, sempre lui, lo smemorato, ha anche dichiarato che la tragedia di Gaza è la crisi internazionale più grave da quando lui è segretario dell’Onu dimenticando che chi ha scatenato quella crisi è stata Hamas e non Israele, dimenticando che la proporzionalità in guerra, cosa falsa ma ripetuta fino alla noia a pappagallo da ignoranti o in mala fede, è diventata un mantra, anzi, un dogma.

Ma lo smemorato ha fatto di più, è andato oltre, non ha citato la guerra Russia-Ucraina, il Nagorno Karabakh, il continuo guerreggiare fra la Turchia e i Kurdi, l’Afghanistan, la Guerra civile in Siria, nello Yemen, in Libia e Sud Sudan e, per finire, l’instabilità cronica in Iraq invaso di fatto dall’Iran.

Come se in tutti questi posti non ci siano morti, non ci siano vittime e non ci siano civili che soffrono. Diciamolo francamente: la più grande fortuna dei palestinesi e aver a che fare con Israele, di fatto con gli ebrei. E per questo, solo per questo, godono delle simpatie di tutto quel mondo a cui gli ebrei vivi stanno sulle palle per un motivo o per l’altro e di quel mondo che ama solo una parte degli ebrei, quelli morti.

Tornando all’informazione internazionale, scusate la propaganda, il punto più basso, quello senza alcuna vergogna, senza alcuna pietà umana, è stato toccato dal Reynolds Journalism Institute dell’Università del Missouri, uno dei più antichi concorsi di fotogiornalismo al mondo, che ha premiato il palestinese Ali Mahmoud, fotografo dell’Associated Press, con il Team Picture Story of the Year per lo scatto che ritrae il cadavere martoriato e seminudo di Shani Louk, una tatuatrice tedesco-israeliana di 23 anni, che era stato esibito dai terroristi di Hamas per le strade di Gaza con intorno una folla festante.

La fotografia era stata scattata il 7 ottobre, nel giorno del massacro compiuto da Hamas in Israele, ed è diventata il simbolo della strage compiuta al rave Supernova, nel deserto del Negev, dove 260 giovani sono stati trucidati e fatti a pezzi.

Il Team Picture Story of the Year è andato alla pornografia del dolore e davanti a questo, che è uno scempio sullo scempio, è davvero difficile trovare gli aggettivi adatti a qualificare chi ha assegnato questo premio. Non esistono perché chi ha assegnato il premio all’orrore non ha volutamente tenuto conto che quel fotografo non era lì per caso, ma seguiva i terroristi durante la loro azione terroristica.

Questo soggetto, anziché essere inquisito e punito, viene premiato come fotografo in una sorta di fiancheggiamento del terrore da parte di un’istituzione ormai andata, e non l’unica, completamente fuori da tutti canoni per ritrovarsi in una zona grigia dove le parole pietà e buon senso non hanno più valore.

Michael Sfaradi, 1º marzo 2024

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