Bisogna fare attenzione alle parole. Sempre. Quello che in questi giorni sta accadendo nel quartiere Corvetto di Milano non è una “protesta” né la “ricerca di giustizia” per la morte di Ramy Elgaml. È guerriglia urbana. È una rivolta, neppure troppo silenziosa, chissà se simile o meno a quella immaginata da Maurizio Landini. Sono le immagini che ricordano Parigi, magari in piccolo, quando venne data alle fiamme per la morte del giovane Nahel un anno e mezzo fa. Non volete chiamarle banlieue? Rovina l’immagine dei pettinatissimi viali meneghini? Va bene. Resta il fatto che non è normale, e nemmeno accettabile, che 70 ragazzini incappucciati, molti dei quali di prima, seconda o terza generazione, mettano a ferro e fuoco strade, bidoni e autobus per rivendicare una “verità” che al momento tale non è. Almeno finché le indagini (sono indagati sia chi guidava lo scooter che un carabiniere) non chiariranno come e perché la notte tra sabato e domenica 24 novembre il loro amico è morto in un incidente stradale.
Fate attenzione a come la raccontate questa storia. Intanto partiamo da un presupposto, forse un po’ trascurato: Ramy e l’amico tunisino (senza patente) non erano inseguiti dai carabinieri per gioco, ma perché sfuggiti ad un posto di blocco. Il che in un Paese normale sarebbe vietato. Inoltre la giovane vittima non indossava il casco e lo scooter, un T-Max, aveva percorso contromano un lungo tratto di strada negli otto chilometri di corsa folle. Entrambi, peraltro, erano già noti alle forze dell’ordine per precedenti di rapina e droga. Questo giustifica la morte del giovane? Ovviamente no. Ma se inneschi un inseguimento con la gazzella, metti in conto anche la possibilità che possa finire male. La soluzione migliore per tutti, e soprattutto la meno pericolosa, sarebbe stata banalmente quella di fermarsi.
Secondo appunto. I “maranza” (nel senso di quel miscuglio di egiziani, algerini, albanesi e via dicendo che vestono come i trapper delle banlieue parigine o spagnole) non hanno sfogato la loro rabbia in un momento di forte emozione. Sì, certo: nel pomeriggio erano scesi in piazza per chiedere giustizia mostrando uno striscione, il che è legittimo. Poi però hanno trasformato il corteo in violenza. La violenza in disordini. I disordini in roghi. Una fonte di polizia fa notare che la guerriglia “è stata organizzata nei tempi e nei modi” visto che diverse auto “erano state posizionate ad hoc per impedire l’intervento delle forze dell’ordine”. E poi le bombe carta, i petardi, i razzi non è che li porti sempre in tasca pronti all’uso. Senza contare che la rivolta è andata in scena per due giorni consecutivi: se la prima sera poteva essere giustificata dalla “rabbia”, per la seconda non si può non parlare di premeditazione.
Valter Mazzetti, Segretario generale Fsp Polizia di Stato, fa giustamente notare che il caso Corvetto, che non è isolato e fa tornare alla mente gli abusi della notte di Capodanno del 2022, ci ricorda come “alcune parti delle nostre città siano ormai considerate zone franche da gruppi che si atteggiano a padroni del territorio”. Protestare è sempre legittimo, devastare tutto no. E lo stesso discorso vale per le manifestazioni dei centri sociali, degli studenti e dei Pro-Pal: sei libero di urlare tutte le scemenze e le bugie che vuoi, ma senza sfiorare gli agenti, senza forzare cordoni di polizia, senza aggredire uomini in divisa, appiccare incendi o distruggere autobus. Ci siamo (giustamente) strappati i capelli quando alcuni esagitati presero d’assalto la sede della Cgil? Bene: i vetri infranti dell’autobus (pagato coi soldi nostri), la fuga dei passeggeri e le auto devastate dovrebbero scatenarci pari indignazione, così come grida vendetta la rassegnazione dei residenti di un quartiere ormai vittima di droga, sporcizia e vandalismi.
Poi possiamo discutere di tutto: della necessità di integrare questi ragazzi, dei problemi sociali, della devianza delle periferie. Ma certi atteggiamenti, che tu sia uno studente di buona famiglia o un “maranza” di Corvetto, non sono comunque accettabili. E vanno repressi. Abbiamo inondato di idranti e critiche i “No Pass” che, seduti in terra, bloccavano il porto di Trieste: per loro il prefetto non considerava indegno (cito testualmente) “comprimere” il “diritto alla libera manifestazione”. Come possiamo allora chiedere tolleranza per i vandali di Milano?
Giuseppe De Lorenzo, 27 novembre 2024
Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).