Quella follia irrazionale che porta all’infanticidio

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infanticidio

Il cannibalismo consiste nell’uccidere e consumare uno conspecifico o parti di esso. Questo fenomeno, oggetto di numerosi studi, nel mondo animale è stato descritto in quasi tutti i cladi. Tra i casi di cannibalismo vi rientra anche l’infanticidio, una variante strettamente correlata e che consiste nell’uccisione dei piccoli della stessa specie, un fenomeno molto comune nei mammiferi e in alcuni uccelli.

Le cause possono essere l’incertezza del maschio sulla sua paternità dei piccoli, oppure perché ha appena sconfitto il maschio dominante e senza alcuna intenzione di prendersi cura dei piccoli di quest’ultimo. L’infanticidio tra i mammiferi, lo si ritrova nelle specie sociali, come primati e carnivori, ma non di rado anche in specie solitarie. La selezione sessuale è l’ipotesi che sta alla base del perché si uccidano i cuccioli, ossia migliorare le opportunità di dar vita ad una propria prole, oppure per evitare l’adozione di cuccioli non propri, evitando così spreco di energia in cure parentali per figli di altri.

Per contrastare attivamente l’infanticidio le femmine di alcune specie hanno messo in atto delle tecniche di difesa della propria prole, come successo nei leoni africani (Panthera leo) e nei gorilla di montagna (Gorilla gorilla b.) dove le femmine con piccoli si allontanano dal gruppo per evitare gli incontri con i maschi e quindi il possibile infanticidio. Purtroppo, questo istinto di protezione materno non si è riscontrato in tanti, troppi, casi di infanticidio per mano dei compagni delle madri delle piccole vittime. Una condotta aberrante da parte della madre, che potrebbe trovare una spiegazione nel disturbo psicotico condiviso, forse meglio conosciuto come folie à deux.

Un disturbo che comunemente coinvolge due individui – una persona dominante (il paziente induttore, principale o primario) e una sottomessa, che è il soggetto affetto da disturbo psicotico condiviso. La folie imposée è la forma più comune e sembrerebbe anche quella più diffusa nei casi di infanticidi per mano dei compagni delle madri, in quanto si sviluppa in un sistema delirante nella persona dominante che quindi progressivamente impone tale sistema alla persona solitamente più giovane e passiva. Aspetti che, infatti, non sembrano essere estranei ai casi che andremo a trattare.

Partiamo dalla condanna all’ergastolo di Gaia Russo Dieni, 26 anni, e dell’ex compagno Nicolas Musi, 27 anni, confermata lo scorso ottobre dalla Corte di cassazione. Per capire il perché di questa condanna, dobbiamo tornare al 23 maggio 2019, quando il piccolo Leonardo Russo veniva portato all’ospedale di Novara col corpicino ricoperto di lividi, ormai agonizzante e in fin di vita. Inizialmente la madre aveva cercato di nascondere l’orrore facendo credere che il piccolo fosse caduto. Una bugia che non reggerà a lungo.

Infatti, secondo l’autopsia, a provocare la morte causando l’emorragia al fegato che, in meno di mezz’ora, aveva portato il decesso del piccolo, era stato un violento colpo all’addome. Ad essere letale sarebbe stata la compressione violenta “assolutamente incompatibile” con una caduta, come invece avevano dichiarato inizialmente ai soccorritori Gaia e Nicolas. Per l’accusa entrambi erano responsabili della morte del piccolo, anche se con condotte diverse. La madre, per aver adottato un comportamento passivo e omissivo mentre il compagno, per aver commesso il crimine efferato sul piccolo.

Secondo quanto ricostruito dall’accusa, infatti, il piccolo Leonardo, già in passato, era stato vittima di violenza da parte del patrigno. Una scena dell’orrore che, purtroppo, non costituisce un caso isolato. Questa volta siamo a Cardito, nel Napoletano, dove il 27 gennaio veniva massacrato a colpi di bastone Giuseppe Dorice, un bambino di 7 anni. Un infanticidio che, il 9 novembre 2020 in primo grado, porterà la condanna all’ergastolo di Tony Essobti Badre, i giudici avevano parlato addirittura di “spettacolo dell’orrore”, e confermata lo scorso ottobre dalla Cassazione che, però, ha annullato l’ergastolo per Valentina Casa, la madre della piccola vittima e disposto il processo di secondo grado davanti ad un’altra sezione della Corte di Assise di Napoli. Cam-Telefono Azzurro, parte civile al processo, ha parlato di “amarezza per l’annullamento dell’ergastolo nei confronti della madre. Amarezza più che comprensibile dal momento che la madre, mentre il figlio era agonizzante sul divano, si era limitata a passargli la pomata sul volto, senza chiamare i soccorsi.

Lo scorso maggio, invece, la Corte d’assise di Catania ha accolto le nuove richieste di perizia psichiatrica che erano state avanzate dagli avvocati di Letizia Spatola e Salvatore Blanco, condannati nel luglio del 2022 dalla Corte di Assise di Siracusa per la morte del piccolo Evan, figlio della Spatola. Un bimbo di appena un anno, arrivato all’ospedale Maggiore di Modica, in provincia di Ragusa, in condizioni disperate, il 17 agosto 2020. Sul corpicino i medici avevano notato sin da subito lividi ed ematomi sul collo, sul torace e sulla testa. Nelle conclusioni dell’autopsia, è indicato che la “grave insufficienza cardio-respiratoria da broncopolmonite da aspirazione”, per cui è morto Evan, sarebbe riconducibile a delle lesioni subite dal minore. La madre nel mentre aveva fatto ricadere ogni responsabilità al convivente, dichiarando di non essersi accorta di nulla. Eppure, fratture, tumefazioni e una ferita infetta avevano portato il piccolo Evan per ben tre volte all’ospedale di Noto. Vicende che, se messe a confronto con le condotte materne di leonesse e scimpanzé, confermano quanto detto da Mirko Badiale “l’uomo è l’animale che nessun animale vorrebbe essere”.

Nemes Sicari, 13 novembre 2023

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