Esteri

Quella foto “fake” pubblicata dalla Stampa in prima pagina

Infuria la guerra in Ucraina. Il quotidiano titola: “Carneficina”. Ma l’immagine non arriva da Kiev…

Donetsk foto La Stampa

Il titolo è corretto. D’impatto. Fattuale. “LA CARNEFICINA”, scritto così, a caratteri cubitali e apposto su una foto drammatica. La prima pagina della Stampa, che migliaia di italiani si sono ritrovati in edicola, colpisce al cuore. Si vede un anziano disperato coprirsi il volto con le mani. Piange. Intorno a lui una distesa di cadaveri maciullati: braccia mutilate, arti smembrati, urla di dolore. È l’immagine plastica, perfetta, che racconta la tragedia che si sta svolgendo in Ucraina. C’è solo un piccolo problema: si tratta di un fake, o meglio di una storia raccontata male, di quelle che meriterebbero uno stuolo di debunker e le reprimende dei News Guard di turno.

Già, perché attorno a quella foto vengono richiamati articoli sui “traumi dei bambini in fuga da Leopoli”, su come Kiev si prepara all'”assalto finale” dei russi, sulla strategia di Biden, sulle reazioni dell’Occidente o le gesta della giornalista anti-Putin a Mosca. Si parla insomma del dramma osservato dal fronte ucraino, come se quella “carneficina” riguardasse civili ucraini. Non è così. Quell’immagine drammatica, quel signore anziano disperato con le mani in faccia, non è stata immortalata a Kiev o a Leopoli. Ma a Donetsk, ovvero nella “capitale” di una delle due repubbliche separatiste. E quei corpi maciullati a terra sono i cadaveri di 23 civili filorussi, o russofoni vedete voi, caduti sotto le schegge di un missile Tochka-U abbattutosi nelle strade centrali della città.

I fatti risalgono a lunedì, ma quasi nessuno ne ha parlato. Non oggi la Stampa, che pur pubblicando quella terribile immagine-simbolo si è ben guardata dal contestualizzarla (zero didascalie), “spacciandola” di fatto per uno dei tanti (troppi) missili piovuti in questi giorni su Kiev, Mariupol o Kherson. Nemmeno altri cronisti si sono prodigati nel raccontare la storia. Il giorno dopo la strage, di fronte al bancomat dilaniato dall’esplosione, sono apparsi grossi mazzi di rose e un biglietto. C’era scritto: “Perché nessuno ascolta Donetsk?“.

La Repubblica se ne è occupata solo oggi, due giorni dopo i fatti, con un pezzo in taglio basso che dà conto del “rimpallo” di responsabilità. I filorussi assicurano si tratti di un missile sparato dagli ucraini verso il Donbass, intercettato dalle forze separatiste e che nel cadere in città ha provocato un disastro. Kiev dal canto suo parla di false flag: in pratica Mosca avrebbe sacrificato 23 civili filorussi per accusare l’Ucraina di crimini di guerra. Propaganda, da entrambe le parti: in fondo, in 8 anni di guerra in Donbass, le 13mila vittime non sono esclusiva di nessuno dei belligeranti.

Tuttavia una cosa è certa: lunedì 23 persone sono morte in territorio filorusso. Si può dire? L’urlo di dolore di quell’anziano. Il dramma delle famiglie. Il sangue che cola dal braccio dello sconosciuto cittadino di Donetsk riverso sul pavimento di un bus. La notizia merita un po’ di attenzione, oppure no? Nessuno mette in dubbio che in questa guerra ci sia un aggressore (Putin) e un aggredito (Zelensky). Ma la guerra fa schifo sempre, da qualsiasi parte ci si trovi costretti a combatterla: significa orrore, distruzione, crimini.

Oggi le truppe russe hanno ucciso 10 civili a Chernihiv. Subito i media italiani online hanno giustamente titolato a nove colonne: “Strage di civili in fila per il pane, 10 morti“. I video sono orribili, come orribili sono i filmati (esistono, noi li abbiamo visti) della tragedia di Donetsk. Perché non dedicare pari enfasi a quanto successo solo 48 ore fa dall’altro lato della barricata? Anche la verità, si sa, muore con l’inizio di un conflitto, ma non serve che pure i giornalisti indossino l’elmetto. È di completezza dell’informazione che parliamo, non di tifoserie anti o pro Putin. La domanda è semplice: perché usare la foto in quel modo? Perché spacciarla, volutamente o per errore (può capitare), come l’ennesimo crimine su Kiev? “Perché nessuno ascolta Donetsk?”.

Giuseppe De Lorenzo, 16 marzo 2022