Politica

Quella stretta di mano sa di sottomissione

L’anziana signora israeliana saluta i suoi aguzzini. Ma quelle mani sono sporche di sangue: ricordiamo l’orrore

ostaggi Hamas

Le immagini di due terroristi di Hamas che consegnano, tenendole per mano, due anziane signore israeliane alla Croce Rossa fanno davvero impressione. Come impressione fa il saluto, «Shalom», e cioè «pace», che una delle due rivolge al carnefice con bandana verde. Ogni giorno che passa ci si dimentica da dove sia partita questa storia. Quelle mani, strette dagli ostaggi, sono sporche di sangue. Le immagini del massacro, che abbiamo potuto vedere senza censure, non sono quelle di un semplice attentato terroristico. Sono immagini di un’efferatezza e di una brutalità che non si possono dimenticare.

L’Occidente non è pronto per vederle, si dice. Forse perché abbiamo gettato da secoli alle nostre spalle il solo pensiero che qualcosa di simile possa essere fatto da un essere umano. Abbiamo paura dei nostri mostri. Quello di Hamas è stato un assalto di gruppo, pianificato nei dettagli: anche quelli dell’orrore. La decapitazione non è un «incidente di percorso»: i terroristi, che utilizzano una zappa per decapitare un essere umano riverso nel sangue a terra, lo fanno perché è scritto nel loro copione. Gli uomini di Hamas che uccidono davanti ai propri genitori i bambini non rappresentano un «danno collaterale», ma la strategia per annientare e annichilire l’avversario.

Gli stupri non sono di gruppo, sono selezionati per sconvolgere e non per soddisfare la brutale bestialità della soldataglia. Gli ostaggi, le stesse due signore che sussurravano «Shalom», sono stati frutto di un accordo commerciale e strategico. Ognuno di essi valeva 10mila dollari per il rapitore e ben di più per il suo utilizzo come mezzo di scambio o scudo umano. L’Occidente sembra volere dimenticare questa premessa. Ci occupiamo delle reazioni di Israele. Qualcuno ha persino scritto che c’è un’umanità nei due guerriglieri che hanno restituito le donne ad Israele. Non capendo che la loro propaganda è la scusa che cerchiamo per non pensare al mostro.

Così come le polemiche sulle reazioni militari di Tel Aviv sono l’alibi per non parlare della strage del kibbutz di Be’eri dove sono state trucidate cento persone a sangue freddo. Siamo imbambolati con la nostra sacra (e giustamente intoccabile) libertà di stampa e di opinione, ma non per ragioni ideali: lo siamo perché vittime di un assurdo senso di colpa. Per di più proiettato, per interposto popolo, sullo Stato di Israele. Siamo riusciti a rendere israeliano il massacro dell’ospedale di Gaza per la fretta di credere ai terroristi. Il New York Times, i media e le piazze urlanti, come le due signore rilasciate ieri, sono alla ricerca di una pace folle, che vuole dire solo sottomissione.

Nicola Porro per Il Giornale 25 ottobre 2023