Antonio Martino è stato allievo di Milton Friedman, come tutti sanno, il capostipite della scuola monetarista, nata a Chicago. E per la verità non si è mai molto discostato da quegli insegnamenti: per il professore, come per i suoi maestri, la moneta conta. Eppure nel piccolo club dei liberali, i monetaristi non sono andati a genio proprio a tutti. Vabbè l’opposizione da sinistra e dai keynesiani è cosa nota. Ma in pochi ricordano, almeno tra il grande pubblico, di come su molte questioni monetaristi e hayekiani (scuola austriaca) – nonostante frequentassero il medesimo club esclusivo, per mancanza di partecipanti, la Mont pelerin society – fossero acerrimi avversari.
In un recente scritto su “Atlantico quotidiano” il giovane e preparatissimo Bernardo Ferrero ricorda di un gigantesco omaggio di Murray Rothbard a Martino, nel saggio del 1994 dal titolo Revolution in Italy, scritto per il Rothbard Rockwell Report. Il filosofo anarcocapitalista e di scuola austriaca proprio nell’anno della nascita di Forza Italia, dedicò un approfondimento alla nascita di un movimento che salutava come rivoluzionario proprio per le tesi economiche e il passo liberalizzatore imposto da Antonio Martino. Il filosofo nel passato era stato financo sprezzante con i monetaristi, definendo Friedman, un «liberale di corte dell’establishment».
Continua nella sua sintesi del libro Ferrero: «Martino», evidenzia Rothbard, «vuole andare lontano e veloce per salvare l’Italia dal suo zoppicante status di Stato sociale inflazionario», e vuole farlo nel modo più lodevole ed autenticamente libertario, attraverso «drastici tagli fiscali», «grandi aumenti delle deduzioni personali», il ripristino di «una moneta sonante che ponga fine ai disavanzi», il taglio delle «aliquote marginali» e la riduzione del «numero di scaglioni dell’imposta sul reddito da sette a uno».
Degna di particolare nota per Rothbard è la volontà, più unica che rara, dell’economista messinese di «rovesciare l’intera complessa e orrenda struttura fiscale italiana, riducendo il numero delle tasse da 200 a 10», il desiderio di frenare la spesa pubblica con «una massiccia privatizzazione, che comprende le scuole e l’assicurazione sanitaria nazionale» e il coraggio di «tagliare quella gigantesca burocrazia parassitaria che ha strangolato la vita economica e sociale in Italia», riducendo «il numero di posti di lavoro a vita» e sottoponendo «il ramo esecutivo a una buona dose di quello che è stato spesso chiamato sistema delle spoglie».
Se l’Italia seguirà le riforme di Martino, conclude l’economista di Scuola Austriaca, «certamente i produttori italiani e l’economia si troveranno in una situazione decisamente migliore». Le cose sono andate diversamente. Purtroppo.
Nicola Porro, Il Giornale 13 marzo 2022