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Quelle ragazze uccise in nome della Sharia di cui nessuno parla

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La notizia più triste degli ultimi giorni arriva dall’Iran, per la precisione dalla piccola città di Haviq, capitale del distretto di Haviq, nella contea di Talesh, nella provincia di Gilan. Romina Ashrafi, una ragazzina di tredici anni, ha avuto la disastrosa idea di scappare di casa con l’uomo di cui si era innamorata, Bahman Khavari di 35 anni. Per la nostra mentalità la prima cosa che salta agli occhi è l’enorme differenza di età fra i due, ma bisogna considerare che a certe latitudini, e soprattutto in zone rurali come quella dove si è svolta la vicenda, enormi differenze di età nelle coppie è una normalità.

Dopo che il padre di lei, e di conseguenza tutta la famiglia, si era rifiutato di accettare la relazione, la ragazza era scappata di casa. Ancora non è chiaro se si è trattata di una fuga in solitaria o insieme all’uomo. Praticamente quella che un tempo nel sud Italia veniva chiamata “Fuitina”. I familiari della giovane, con la chiara intenzione di continuare a ostacolare questa relazione, hanno sporto denuncia e la ragazza, dopo essere stata convocata dalla polizia locale, è comparsa davanti a un giudice che ha deciso di rimandarla a casa e lo ha fatto nonostante le grida disperate della giovane che, considerando il temperamento violento del padre, ha fatto di tutto per spiegare il pericolo in cui si sarebbe trovata.

Il giudice, nell’obbligarla a tornare a casa dei genitori, l’ha condannata a morte e quasi sicuramente ha emesso la sua sentenza consapevole di quelle che sarebbero state poi le conseguenze perché giovedì scorso, mentre Romina dormiva sul suo letto, il padre, con l’intento di ristabilire l’onore della famiglia, l’ha sgozzata nel sonno. Romina Ashrafi, è giusto ripetere il suo nome, di tredici anni, è stata sgozzata nel sonno da un padre che ha barattato il suo “onore” con la vita della figlia. Il padre assassino si è poi consegnato alle autorità ben sapendo che, in base alla Sharia che in quel momento lo vedeva come “guardiano” della vittima, non sarà condannato a pene severe. Per cui non c’è alcuna speranza che la povera Romina possa avere giustizia.

Ciò che lascia basiti è che come genitore il nome del padre, cioè dell’assassino, appare in primo piano sul necrologio della povera ragazza. Un ulteriore sfregio alla memoria di chi, nonostante la sua giovane età, ha avuto la sola colpa di essersi innamorata di una persona non gradita al suo nucleo famigliare. L’errore, lasciatemelo dire, sarebbe considerare questo episodio lontano da noi, frutto di mentalità lontane dalla nostra. Perché se è vero che la nostra mentalità è lontana culturalmente da simili barbarie, negli ultimi anni, almeno geograficamente, è costretta a convivere con modi di pensare molto simili a quelli che hanno ucciso Romina Ashrafi.

Casi simili sono accaduti e accadono continuamente anche in Occidente. Per esempio sappiamo perfettamente dove ha avuto origine la moda di distruggere il volto, molte volte anche con la perdita della vista in uno o di entrambi gli occhi, lanciando acido in faccia alle ex fidanzate e, ultimamente, anche a ex fidanzati. Prova che questo tipo di violenza attecchisce facilmente senza distinzione di sesso. Ma peggio ancora, perché al peggio non c’è mai fine, il rito dello sgozzamento, come capretti al macello, è arrivato da noi in occidente, e cose che non si vedevano da decenni sono improvvisamente tornate in auge. Solo per fare qualche esempio è giusto ricordare il caso di Laura Paumier e Mauranne Harel sgozzate a Marsiglia davanti al piazzale della stazione ferroviaria Saint-Charles il primo ottobre 2017 da Ahmed Hanachi, un clandestino che anziché libero di muoversi e armato di coltello, visti i suoi precedenti avrebbe dovuto essere rinchiuso in un centro detentivo.

L’arte dello sgozzamento, purtroppo, è arrivato anche in Italia, e visto che ne parliamo è giusto ricordare Hina Saleem che l’11 agosto del 2006 fu scannata dal padre nel bresciano perché voleva vivere e vestire all’occidentale, con la madre che all’apertura del processo dichiarava alla stampa di capire e perdonare il marito per ciò che aveva fatto. Le aveva ammazzato una figlia e lei lo capiva e perdonava. È giusto anche ricordare Sana Cheema, cresciuta a Brescia, che all’età di venticinque anni è stata assassinata dal padre e dal fratello a Gujrat in Pakistan, sua città natale, perché voleva sposarsi con un ragazzo italiano.

Per consumare il delitto il padre e il fratello hanno atteso il momento giusto e lo hanno eseguito su terra islamica, dove la società era più disposta a capire le motivazioni del gesto. Il processo in Pakistan per questo spietato omicidio si è concluso con un nulla di fatto, mentre in Italia, dove la ragazza risiedeva, la magistratura avrebbe voluto mettere i due assassini alla sbarra ma, come riporta La Repubblica del 15 ottobre 2019, Mustafa Gulham, 50 anni, il padre di Sana e il trentaduenne Adnan, fratello della vittima, non sono più reperibili.

Siccome per legge il processo italiano non può partire se non c’è certezza della notifica agli indagati dell’avviso di conclusione indagini, tutto rimarrà probabilmente lettera morta. Per cui per Romina Ashrafi, Hina Sallem e Sana Cheema, uccise in posti lontani fra loro e in momenti diversi con un comune denominatore, cioè un coltello in gola guidato da mentalità malate, non ci sarà mai giustizia. Almeno quella degli uomini per ciò che riguarda l’Onnipotente possiamo solo aspettare con fede.

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