nulla a che fare con la spiegazione fornita dall’ottima zacutti. è vero che Friends promuove quei valori cari alle sit-com televisive come amore amicizia e famiglia ma il successo della serie su Netflix è da attribuirsi a una sola cosa: nostalgia. nostalgia dei trentenni che negli anni Novanta attendevano la prima serata per guardare l’episodio per poi commentarlo il giorno dopo a scuola con i compagni. nostalgia per quegli anni dedicati allo studio, il lavoro era lontano e le responsabilità pure. il successo di Friends sulle piattaforme di streaming racconta di una generazione che ancora oggi indugia voltandosi al passato, che ama fuggire dal trantran quotidiano riguardando quegli stessi episodi che parevano così spassosi e intelligenti ma che oggi, diciamocelo, fanno ridere assai meno di un tempo.
Valter
27 Agosto 2019, 13:56 13:56
Non conosco Friends e le altre serie che non ho avuto modo di incrociare avendo un’età non più verde. Mi è capitato però di guardare qualche episodio delle fictions di produzione nostrana: qualunque fosse il tema i tipi antropologici onnipresenti erano immancabilmente il/la carabiniere/a o poliziotto/a buonista, ecocompatibile ed antirazzista, l’insegnante, il prete o la suora sociologi-redentori di soggetti devianti, ma sempre nel recinto della politically-correctness, il nero con acconciatura rasta che a prima vista sembra un affiliato alla mafia nigeriana ma poi si rivela un cuor d’oro, contrariamente all’indigeno ricco, trucido egoista e pure inquinatore ambientale che non manca mai. Per non dire del contorno obbligatorio di qualche LGBT+ e dell’accento spiccatamente romanesco-partenopeo di gran parte degli attori/attrici mezzecalzette che ne sono interpreti. Insomma, un caravanserraglio antropologico di stronzi che se lo guardi ti viene il diabete per quanto è melenso, oltre che totalmente implausibile. Insomma degli spottoni del pensiero unico a cui manca solo “vota PD” nei titoli di coda.
nulla a che fare con la spiegazione fornita dall’ottima zacutti. è vero che Friends promuove quei valori cari alle sit-com televisive come amore amicizia e famiglia ma il successo della serie su Netflix è da attribuirsi a una sola cosa: nostalgia. nostalgia dei trentenni che negli anni Novanta attendevano la prima serata per guardare l’episodio per poi commentarlo il giorno dopo a scuola con i compagni. nostalgia per quegli anni dedicati allo studio, il lavoro era lontano e le responsabilità pure. il successo di Friends sulle piattaforme di streaming racconta di una generazione che ancora oggi indugia voltandosi al passato, che ama fuggire dal trantran quotidiano riguardando quegli stessi episodi che parevano così spassosi e intelligenti ma che oggi, diciamocelo, fanno ridere assai meno di un tempo.
Non conosco Friends e le altre serie che non ho avuto modo di incrociare avendo un’età non più verde. Mi è capitato però di guardare qualche episodio delle fictions di produzione nostrana: qualunque fosse il tema i tipi antropologici onnipresenti erano immancabilmente il/la carabiniere/a o poliziotto/a buonista, ecocompatibile ed antirazzista, l’insegnante, il prete o la suora sociologi-redentori di soggetti devianti, ma sempre nel recinto della politically-correctness, il nero con acconciatura rasta che a prima vista sembra un affiliato alla mafia nigeriana ma poi si rivela un cuor d’oro, contrariamente all’indigeno ricco, trucido egoista e pure inquinatore ambientale che non manca mai. Per non dire del contorno obbligatorio di qualche LGBT+ e dell’accento spiccatamente romanesco-partenopeo di gran parte degli attori/attrici mezzecalzette che ne sono interpreti. Insomma, un caravanserraglio antropologico di stronzi che se lo guardi ti viene il diabete per quanto è melenso, oltre che totalmente implausibile. Insomma degli spottoni del pensiero unico a cui manca solo “vota PD” nei titoli di coda.