Liquidità partite Iva, quello che non torna

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“In questo Paese dovrebbero ringraziare le persone che lavorano in banca, insieme ad altre categorie professionali che stanno contribuendo a tenere in piedi un Paese fermo per colpa della pandemia. Non vogliamo però essere strumentalizzati. Le decisioni le prende qualcun altro, noi non siamo un’istituzione, facciamo quello che possiamo e cerchiamo di farlo al nostro meglio”.

Antonio Patuelli, presidente dell’Abi (Associazione Bancaria Italiana) pone l’accento sul momento che sta vivendo il Paese e lo fa in una video-intervista concessaci in esclusiva. Nei giorni scorsi si è già registrata qualche tensione in alcune filiali di banca, tensioni generate soprattutto da una mancanza di chiarezza comunicativa su argomenti che oggi sono di forte impatto sociale. Ci riferiamo in particolare ai 25 mila euro accordati dal governo alle partite Iva all’interno del Decreto Liquidità. Lo avranno capito anche tutti gli altri italiani?

Chiamo un amico che lavora in banca. “Non sarà semplice gestire tutte le pratiche che stanno arrivando – mi sottolinea preoccupato – anche perché molti sono convinti che basta avere una partita Iva per aver diritto ai 25 mila euro e soprattutto ancor meno di loro hanno compreso che si tratti di un prestito e non di un finanziamento a fondo perduto. In comunicazione si poteva far di meglio…”.

Allora entriamo più in profondità nell’analisi del decreto. Chi avrà diritto a questo finanziamento? E soprattutto come farà ad averlo? Due giorni fa è stato diramato un documento dall’Abi (che in poche pagine ha raccolto tutte le informazioni necessarie per svolgere le pratiche di richiesta. Saltiamo a piè pari la parte della modulistica, delle registrazioni, delle verifiche di fattibilità e concentriamoci sull’ultima parte del documento redatto dall’associazione guidata dal presidente Patuelli.

Nel documento si legge: “Il Fondo può garantire finanziamenti per un importo massimo non superiore al 25% dei fatturati dell’impresa, secondo quanto indicato nel modulo di domanda di garanzia, e comunque fino a 25 mila euro”. A leggere queste righe la prima cosa che salta all’occhio e su cui si farebbe bene a prestare estrema attenzione è relativa alla parola: finanziamento. Da vocabolario troviamo la seguente definizione: “prestito monetario che un Istituto o società di credito autorizzata e concede a un privato, una società, associazione o ente pubblico, solitamente a fronte di una garanzia e di alcuni requisiti che variano a seconda delle tipologie di finanziamento utilizzate”.

Insomma chi credeva di avere soldi a fondo perduto lo dimentichi. Quello che si riceverà sarà un prestito, garantito alle banche dallo Stato. Le banche anticipano il denaro, ma il prestito sarà rimborsato da chi lo ha richiesto e che quindi sarà erogato anche secondo una lettera diramata da Banca d’Italia a tutti gli Istituti di credito del Paese. Nel testo sono elencati tutta una serie di punti d’attenzione, soprattutto quelli legati all’anti-riciclaggio.

Ma torniamo al prestito. Il rimborso dovrà avvenire entro 6 anni al massimo e consentirà un pre-ammortamento, entro i primi 24 mesi, nei quali sarà possibile rimborsare solo la quota Interessi senza versare la quota legata al capitale. Fino a qui tutto sembrerebbe molto chiaro. Ma alla voce “Tasso d’Interesse” arrivano le prime simpatiche (si fa per dire) elucubrazioni burocratiche. Sì perché alla voce tasso d’interesse troviamo queste 5-6 righe semplicissime da decifrare, si fa per dire:

“Tali operazioni sono realizzate ad un tasso di interesse, nel caso di garanzia diretta o un premio complessivo di garanzia, nel caso di riassicurazione, che tiene conto della sola copertura dei soli costi di istruttoria e di gestione dell’operazione finanziaria e, comunque, non superiore al tasso di Rendistato con durata residua da 4 anni e 7 mesi a 6 anni e 6 mesi, maggiorato della differenza tra il Cds banche a 5 anni e il Cds Ita a 5 anni, come definiti dall’accordo quadro per l’anticipo finanziario a garanzia pensionistica di cui all’articolo 1, commi da 166 a 178 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, maggiorato dello 0,20 per cento”.

Non lo trovate allucinante? Dite la verità, ci avete capito qualcosa? Queste cinque per fornici un numero che rappresenterebbe il tasso masso applicabile dalle banche: conteggi alla mano si avvicinerebbe al 2%, un 2% che rappresenta il massimo tasso applicabile dalle banche per le operazioni di finanziamento. Ma non è finita qui. La parte che davvero creerà molti fraintendimenti è quella relativa agli importi che verranno erogati. Molti immaginano di avere già i 25 mila euro in tasca (come il mio amico della telefonata), per cui ci resteranno molto male che le cose non stiano proprio così. Non lo dico io, lo dicono i numeri relativi al finanziamento.

Sappiamo che potremmo avere un massimo di 25 mila euro e quel massimo è funzione del limite del 25% dei fatturati d’Impresa. L’Abi nel documento allegato ci fa qualche esempio che riprendiamo:

IMPRESA A

Importo ricavi = 120.000 euro

25% ricavi =        30.000 euro

Erogazione =      25.000 euro     

Essendo il 25% del ricavo superiore alla soglia massima di 25 mila euro si applica  la soglia.

 

IMPRESA B

Importo ricavi = 80.000 euro

25% ricavi =       20.000 euro

Importo massimo erogabile = 20.000 euro

Quindi, come vediamo, se si hanno almeno 100 mila euro di fatturato, l’importo erogabile sarà di 25 mila euro, altrimenti la quota sarà minore. Da qui, però, la domanda nasce spontanea: quante partite Iva, in Italia, fatturano almeno i 100 mila euro necessari per raggiungere, al 25% la soglia massima e quindi ottenere i 25 mila euro di finanziamento? Per rispondere alla domanda, siamo andati a cercare i dati delle partite Iva sul sito del Mef. I dati che riportiamo sono esplicativi in questo senso ed anche se relativi alla dichiarazione Iva presentata nel 2018 (relativa al periodo d’imposta 2017), rendono bene l’idea. Cosa ci raccontano questi numeri? Il 70% delle partite Iva ha un fatturato inferiore ai 100 mila euro e quindi non percepiranno il finanziamento massimo.

Tuttavia, il 38% delle partite Iva è sotto i 30 mila euro di fatturato, per cui percepirà un finanziamento che potrà andare da un minimo di zero, ad un massimo di 7.500 euro. Un altro 17% di partite Iva è nella fascia che va dai 30 mila ai 60 mila euro di fatturato. Per cui quelli che in questa fascia sono più “performanti” potranno richiedere un massimo di 15 mila euro. Altro che 25 mila.

E le banche? È facile immaginare che le banche rischino di diventare il “capro espiatorio” di questa vicenda. Le garanzie dello Stato, infatti, si applicano nell’eventuale situazione di mancato rimborso del prestito. Insomma, a conti fatti, le cifre che lo Stato sarà chiamato a versare realmente saranno quelle relative alle partite Iva che, una volta avuto il finanziamento, non saranno in grado di rimborsarlo. Quindi, la somma che sarà davvero messa a disposizione per le imprese è lontanissima da quella inizialmente comunicata. L’unica vera agevolazione alle imprese sarà una facilità di accesso maggiore ai prestiti, ma anche questa, sarà funzione dei livelli di controllo del merito di credito che i singoli istituti decideranno di applicare.

Di fatto i soldi li prestano le banche, i cittadini dovranno restituire. Lo Stato è l’interfaccia che fa da garante. Questa è l’unica verità. Vedremo nelle prossime giornate come andranno le cose, nella speranza che non ci siano incidenti di percorso. Sarebbe bastato poco per evitare certe incomprensioni. Evidentemente, però, la semplicità e la chiarezza non sono prerogativa di molti non certo di chi ha stilato il decreto di cui abbiamo parlato.

Leopoldo Gasbarro, 19 aprile 2020

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