Ogni tragedia ha il suo lato di farsa. A Daghestan si scatena la caccia agli ebrei, con la folla che prende d’assalto l’aeroporto per scovarli e ammazzarli, nelle strade delle capitali europee scorrono cortei grondanti di antisemitismo, nelle TV italiane scorrazzano giornalisti che minimizzano il massacro del 7 ottobre (“non abbiamo prove che i bambini siano stati decapitati”). In tutto questo, a New York, sventola una nuova bandiera: arcobaleno LGBT intorno e Palestina nel mezzo. Era una delle tante bandiere dell’enorme corteo che ha sfilato dal Brooklyn Museum a Times Square domenica 29 ottobre, e dato il successo ottenuto sui social promette di diventare il nuovo simbolo del mondo libero dall’oppressione occidentale.
Eppure, la meglio gioventù progressista dovrebbe sapere la verità. Dovrebbe sapere che nel 2022 quel fascistone di Netanyahu ha approvato una norma per garantire permessi di lavoro speciali ai palestinesi omosessuali che scappano dalle persecuzioni; dovrebbe sapere che l’anno scorso, nella democratica West Bank, il venticinquenne gay Ahmed Abu Marhia fu assalito e decapitato diventando un simbolo (in Israele) del diritto alla sopravvivenza degli omosessuali palestinesi, il più delle volte vittima delle loro stesse famiglie. Tutto questo non conta, per quelli che lottano perché il congresso approvi la Giornata Internazionale del Pronome (è stata il 18 ottobre, guai a voi se non avete festeggiato) l’importante è essere contro Israele, quindi contro l’Occidente, quindi contro sé stessi.
Fin qui non c’è niente di nuovo, i “Queers for Palestine” esistono da anni e sono una frangia del movimento BDS (Boicotta Disinvesti e Sanziona Israele), ormai sappiamo bene che alle associazioni LGBT interessa pronunciarsi su tutto tranne che sui veri problemi degli omosessuali. Ma questa volta la contraddizione travalica la ridicolaggine. L’attivista Lizzy George-Griffin, a capo di un’associazione LGBT della Columbia University, ha dichiarato che al suo “Black Lesbian Film Festival” (che si tiene proprio negli edifici della Columbia) sono sgraditi gli spettatori sionisti. Questo perché “è nella nostra libertà di espressione non invitare un gruppo genocida di persone: i sionisti”. Questa graziosa Chef Rubio d’oltreoceano non ha avuto remore nel ripetere e confermare tutto al New York Post: “L’Olocausto non è stato niente di speciale. Intendo dire che non è stato abbastanza speciale da giustificare il genocidio dei palestinesi di questi giorni”.
Questo è uno dei tanti motivi che hanno spinto il miliardario newyorkese Leon Cooperman a sospendere definitivamente le sue donazioni alla Columbia (stimate ad oggi intorno ai 50 milioni di dollari). Trasgredendo il bon ton a cui normalmente i ricchi americani si attengono, Cooperman ha dichiarato su Fox Business che la sua scelta è derivata dalla constatazione che ormai “questi ragazzi hanno la merda nel cervello”.
Pietro Molteni, 30 ottobre 2023