Il sistema politico italiano si sta sgretolando. Dietro lo schermo del potere commissariale di Mario Draghi, che assicura la gestione quotidiana della crisi (sanitaria, economica, sociale) e riduce il carico di responsabilità dei partiti, si vanno dissolvendo insieme sia l’impianto ideologico (sacralità della magistratura, sacralità della versione austera e civilmente superiore dell’Europa) che ha dominato per decenni la nostra vita istituzionale sia l’assetto di relazioni fra le forze politiche definito e legittimato da quei temi mitologici.
Grillini al capolinea
Lo sfaldamento del Movimento di Beppe Grillo è solo l’aspetto più scenografico: anche gli altri partiti vivono momenti di difficoltà strategica o identitaria che, in modi diversi, li spingono verso la crisi. Ma il fattore decisivo è la perdita del collante ideologico che ha sostenuto l’azione politica della classe dirigente e dei suoi partiti. L’eroica infallibilità della magistratura è il perno di questa visione almeno dagli anni ‘70 quando le è conferita la delega per la lotta al terrorismo: l’idea si espande negli anni ‘80 (delega della lotta alla mafia), si perfeziona negli anni ‘90 con l’apoteosi di Mani Pulite (lotta alla corruzione politica) e si compie nell’ottobre 1993 quando il Parlamento riforma la Costituzione più bella del mondo e toglie alle Camere il potere di autorizzare indagini a carico dei propri membri. Si formalizza quella che è la vera anomalia italiana: la magistratura prevale sulla politica, anzi ne assume la tutela.
Oggi quella visione sta andando in pezzi: il caso Palamara, con le sue code velenose, ha svelato che la scelta dei vertici giudiziari avviene sulla base di mediocri contrattazioni fra conventicole e che le accuse ai politici (Salvini) sono fatte spesso per convenienza di gruppo; il Csm, organo di massimo rilievo istituzionale e teatro dei patteggiamenti, ha fatto finta di nulla accumulando discredito; il Tribunale di Milano, luogo simbolo, è da anni dilaniato dalle faide.
Con le manette in calo di prestigio, i 5 Stelle, che alle elezioni del 2018 ottennero il 35% dei seggi, vedono svanire almeno metà dei motivi di propaganda su cui finora hanno vissuto. Il video prepotente di Grillo sulle proprie vicende familiari completa il disastro: la domanda di giudizi sempre più severi (onestà, onestà), che avrebbe dovuto fondare la riforma morale degli italiani, si rivela un trucco di comunicazione che funziona a intermittenza: brutale coi nemici (vitalizi, parlamentari tagliati, inquisiti), lassista e complice con gli amici. La metà restante della propaganda 5 Stelle (democrazia diretta, uno vale uno, trasparenza totale della parola e dell’agire pubblico) si spappola con la guerra intorno a Rousseau, le diatribe legali, gli scontri fra capetti. Non ci sono più temi ideali o traguardi politici, ci sono solo rappresentanti che fanno da massa di manovra per obiettivi altrui (elezione del Presidente della Repubblica). Come l’Uomo Qualunque di Giannini nel 1947-48, i 5 Stelle sono destinati a finire dispersi con il termine della legislatura.
Pd orfano della magistratura
Anche il Pd soffre per la caduta del primato morale dei magistrati. La svalutazione della politica, premessa essenziale all’ascesa strategica dei magistrati, è avviata dal Pci, avo del Pd. Nel 1981 Berlinguer butta in campo con grande clamore la questione morale: la politica è corrotta, fa eccezione solo il Pci che è un partito “diverso”: non in quanto finanziato dall’Urss (alla guida di un’alleanza militare nemica della Nato cui l’Italia appartiene) e dalle fee erogate da imprese e cooperative che commerciano con l’Est, ma in quanto dotato di una speciale fibra morale. L’idea percorre gli anni ’80 e ne intralcia la spinta riformista finché esplode Mani Pulite cui fa da sfondo e motivo garantendo, anche per questa via, ingenti vantaggi politici ai successori del Pci. Ritorna nel 2008 quando Paolo Mieli dal Corriere lancia lo slogan della “casta” che dà una spinta decisiva a Grillo e conferma il vantaggio di posizione del Pd. Nel momento in cui anche i magistrati si rivelano casta, il Pd perde non solo un fattore di identità, ma anche un motivo di connessione, spesso declinato in funzione di tutela, con le classi dirigenti.
La crisi dell’Europa
Anche il fascino della versione austera e premiante dell’Europa – il secondo tema dell’ideologia dominante – è in rapido declino, logorato dalla bassa crescita continentale e dalla montante divergenza economica degli Stati: l’emergenza sanitaria completa l’opera con una lunga sequenza di errori (gestione improvvida dei vaccini, incertezza nelle misure di prevenzione) che scatena la delusione dei popoli. Di nuovo è un pezzo dell’identità Pd che scricchiola, ma anche Forza Italia, già sbandata di suo, ne risente. Difficile ripristinare la fiducia: una larga parte dell’assetto dei partiti è costretto sulla difensiva, la visione dell’Europa quale comunità benefica per l’Italia non allarga più i cuori, ma sprofonda in una routine senz’anima che ripete antiche certezze ormai fruste.
Un centrodestra che arranca
Nel centrodestra, dove l’impianto ideologico dominante ha avuto minimo corso, la situazione non è molto migliore: la coalizione si è divisa sull’ingresso al governo inaugurando una competizione risentita fra i partiti che la compongono, come se fosse passata una legge proporzionale. I motivi ideali del passato tendono a sfiorire, anche causa pandemia, e una visione più fresca, adatta alla crescente complicazione dei tempi, stenta a delinearsi.