Non tutte le ciambelle riescono col buco. Si potrebbe usare questo vecchio proverbio per commentare la “furbata” finita male di cui è stato protagonista il Pd nella settimana trascorsa. La prima constatazione che deve aver fatto Enrico Letta è che il rischio grosso questa volta è che al suo partito non riesca quel che sempre è riuscito ultimamente: portare un suo uomo al Quirinale. Per una serie di motivi: perché i numeri non ci sono, non sono sufficienti (in verità questo vale anche per il centrodestra); perché Renzi pur di fare un dispetto al suo ex partito non ci penserebbe due volte a far convergere i suoi voti su un candidato avverso; perché scommettere sulla tenuta del “fronte interno”, e quindi sulla effettiva leadership di Conte sulle truppe pentastellate, è come scommettere su una nevicata a Roma in pieno agosto.
Al Quirinale il Pd tifa Mattarella Bis
Che fare, si sarà chiesto allora il già professore di Science Po? Gli ingenui, cioè quelli che credono al draghismo senza limitismo a parole profferito dagli esponenti Pd, potrebbero pensare che Letta voglia Draghi sul Colle più alto. Nulla di più sbagliato: il presidente del Consiglio non è uomo di parte e non si sa nemmeno per chi voti, e certo non si presterebbe a fare quell’arbitro un po’ tendenzioso che è negli auspici di Letta e compagni. Come uscire dall’impasse? Ed ecco la “furbata”: creare le condizioni per un Mattarella bis in attesa che, con le nuove elezioni, il Pd riacquisti, casomai a spese dei grillini, quella forza che non ha in questa parlamento.
Il ddl delle polemiche
Ma come fare, se il Capo dello Stato ha fatto sapere di non essere disposto ad accettare un reincarico e che in generale ritiene inopportuno che l’inquilino del Quirinale, che non è un re, possa durare in carica quattordici anni? Niente problemi: all’improvviso, e proprio adesso, tre senatori dem si sono ricordati di presentare un disegno di legge di modifica costituzionale che va incontro al desiderata del Presidente e rende impossibile per legge la rielezione. Quindi, questo il loro messaggio: “Non farti problemi, caro Presidente, la tua sarà l’ultima volta, un caso eccezionale”. Fra l’altro, essendo considerati i tre firmatari (fra cui Zanda) vicini allo stesso Mattarella, l’operazione poteva sembrare come partita da lui stesso. Il che non era e di qui l’irritazione e la sconfessione arrivata a stretto giro.