Candidature che salgono. Nomi che si bruciano. Spie, esami di maturità, giudici costituzionali. Il quarto giorno di votazioni per il Quirinale, quello che a sentire i retroscenisti avrebbe dovuto sgombrare il campo e portare all’elezione, si sta rivelando un vero e proprio caos. Difficile capire se ha ragione quella vecchia volpe democristiana di Gianfranco Rotondi, secondo cui “Renzi sta facendo il segretario del Pd e ad interim il leader del centrodestra”. Ma certo nell’intero arco costituzionale regna l’anarchia.
Il centrodestra si astiene
Tutto inizia questa mattina con la riunione di centrodestra da cui, anziché uscire un nome “alto” (come chiesto dal centrosinistra) o un nome di bandiera (come sperato da Giorgia Meloni), emerge una nuova “sorpresa”: i grandi elettori si sono “astenuti”, cioè tecnicamente hanno risposto alla chiama senza però ritirare la scheda e uscendo poi dall’aula. Risulteranno presenti, ma le bianche saranno poche. Un modo, fanno notare i maligni, per mostrare l’unità della coalizione: non entrando sotto il catafalco, si sono rese impossibile imboscate o eventuali voti a Giudo Crosetto, che ieri aveva già raccolto più voti di quanti ne avesse sulla carta Fdi. Non a caso la Meloni ha fatto trapelare tutto il suo nervosismo su questa scelta “obtorto collo”, preferendo puntare su un nome identitario. Magari la Casellati.
La carta Belloni (e Cassese)
A salire un po’, intanto, sono le quotazioni di Belloni e Cassese. I due nomi, la prima capo dei servizi segreti e il secondo stimato giurista, sarebbero stati fatti durante la riunione tra Meloni, Salvini e Tajani. FdI, per dire, ha espresso pubblicamente il suo apprezzamento per entrambi. Le due figure considerate di “alto profilo” anche da Leu, Pd e Cinque Stelle. Che però per ora non si sbilanciano. Il M5S potrebbe non vedere di buon grado Cassese a causa delle sue critiche ai dpcm di Giuseppe Conte. Mentre su Belloni c’è l’incognita del ruolo che ricopre: non a tutti piace l’idea che il capo dei servizi segreti salga al Quirinale. E Andrea Marcucci spinge per “figure politiche”. Si tratta comunque di interlocuzioni, per il momento. Di Maio invita a “non bruciare” la Belloni. Salvini invece assicura che “la via maestra” resta quella di un nome “dell’area culturale del centrodestra”.
M5S nel caos
Se il centrodestra non sta bene, non che nel centrosinistra sia tutto rose e fuori. Ieri Enrico Letta cantava vittoria (“il presidente non sarà di centrodestra”), ma tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare. E nel mare dei Cinque Stelle le acque sono decisamente agitate. Conte assicura che il gruppo è unito. Grillo promette sostegno sia a Di Maio che all’avvocato del popolo. Ma tira una brutta aria. In mattinata era arrivata l’assicurazione che i grillini avrebbero votato scheda bianca, ma poi fonti M5S – poco prima dello scrutinio – hanno tenuto a precisare che è stata lasciata anche “la possibilità di esprimersi in libertà di coscienza“. Tradotto: qualcuno non condivide la strategia. E lo ha fatto vedere nell’urna: i voti a Di Matteo e quelli a Mattarella ne sono la prova provata.
Le crepe nel Pd
Non che il Partito Democratico sia messo molto bene. Se da un lato il centrodestra astenendosi ha dato una prova di una certa stabilità di coalizione, nel Pd iniziano ad emergere i franchi tiratori. Benché Letta avesse dato infatti indicazione di votare scheda bianca, così come Conte, i voti per Mattarella sono tanti. Troppi, per non pensare che dietro non ci siano messaggi delle correnti dem al loro leader. Insofferenza per i nomi emersi? Volontà di boicottare Draghi (sponsorizzato da Letta)? Difficile a dirsi. Di sicuro nel Pd ora sarà un Vietnam. E un po’ in tutto il “fronte progressista”: l’unità sperata non c’è. E questo potrebbe indebolire Letta nelle trattative con Salvini.
Le mosse di Draghi (e Casini)
Il nome di Draghi, come quello di Casini, resta ovviamente in campo. Il premier oggi ha telefonato a Silvio Berlusconi, ufficialmente solo per fargli gli auguri di pronta guarigione ma certo il colloquio una sua valenza lo ha. Le quotazioni di Casini invece per il momento sono in stallo. Ha diversi grandi elettori dalla sua parte, ma né Lega né Fratelli d’Italia per ora sono disposti a votarlo. La sua colpa: essere stato eletto con il Pd. Il fatto che ieri Letta lo abbia inserito nella “rosa” dei progressisti non ha certo aiutato.
Ecco i risultati della quarta votazione
- Mattarella 166
- Nino Di Matteo 56
- Manconi 8
- Cartabia 6
- Mario Draghi 5
- Amato 4
- Casini 3
- Belloni 2
- Baldini 2
- Bersani 2