Il centrodestra oggi ha i numeri per non essere spettatrice ma interprete di una fase politica che sancisca la discontinuità con una tradizione di ostilità che ha contraddistinto negli ultimi trent’anni l’inquilino del Colle. Nei primi tre scrutini si misura la stabilità numerica e la coesione del perimetro politico di uno schieramento, verificandone la solidità e la conseguente forza gravitazionale che può polarizzare le adesioni necessarie al conseguimento del risultato. Si pensi al gruppo parlamentare più numeroso, quello dei 5 stelle, che è ormai una massa proteiforme sui cui l’ex premier Conte non è in grado di esercitare un controllo funzionale a canalizzarne il voto.
A 15 mesi dalla fine della legislatura, con l’assembramento dei peones accasati nel gruppo Misto, sono pronosticabili dinamiche tarate su logiche di sopravvivenza di mandato che favorirebbero soluzioni compatibili con la conclusione naturale della legislatura senza alterare l’assetto di governo che verrebbe, invece, destabilizzato dal trasferimento di Draghi in altre residenze istituzionali. Inoltre, la pattuglia di Italia Viva potrebbe venire in soccorso di una soluzione di mediazione non ascrivibile alla paternità del Pd con cui Renzi ha ripudiato qualsiasi tipo di affinità.
Il centrodestra ha il compito di onorare il passo indietro del Cavaliere, mantenendosi coeso ed evitando di vanificare il gesto di generosità del suo fondatore. Rinunciare a proporre nomi di area, spendibili e dotati di credibilità istituzionale, per adattarsi ai veti della sinistra significherebbe attribuirsi lo stigma di una perpetua menomazione politica e frustrare il ritiro di Berlusconi a fenomeno di senile impotenza, oltre a decretare l’epilogo infausto della propria alleanza.
Andrea Amata, 25 gennaio 2022