Martedì molti articoli sull’accordo Conte-Grillo, naturalmente seguono i molti articoli sulla rottura Conte-Grillo, che arrivavano dopo i molti articoli sul fatto che Grillo considerasse Conte un sostanziale incapace, che precedevano quelli in cui Conte diceva di Grillo che era il padre padrone dei 5s. Tutta questa carta sprecata precede gli articoli dei prossimi giorni che vi posso sintetizzare così: “Ritrovata la pace: adesso avanti insieme”, “Grillo non lo sa ma è sul viale del tramonto”, “Conte Re travicello. In realtà non conta nulla” e via così fino alla prossima rottura, al nuovo cambio di statuto, alla nuova possibile scissione evitata in extremis, alla prossima dichiarazione di Dibba, curiosamente sempre in ritardo sulla realtà.
Ormai commentare i 5s è una attività esoterica oltreché inutile. Sondaggi benevoli li danno ancora al 14%, la realtà li vede a meno della metà. Ma qualcosa di interessante da commentare esiste: l’antigrillismo. Il commento del grillismo è stucchevole e ripetitivo quello dell’antigrillismo apre scenari interessanti ed utili a capire il clima politico. L’antigrillismo politico si distingue in tre filoni principali: assoluto, critico, dialogante. Calenda e Meloni sono gli alfieri del primo, Renzi e Salvini del secondo, Letta del terzo. Gli altri leader politici in questa fase sono poco significativi. La distinzione riguarda la partecipazione, o meno, a governi con i grillini e la possibilità di sviluppare alleanze elettorali, ma non sempre questa distinzione è così chiara.
La campagna elettorale a Roma è emblematica: Calenda può parlare di “un branco di scappati di casa che vanno cancellati”, Renzi, ormai convinto dell’estinzione dei grillini, anche stando al governo con loro, può sparare a pallettoni contro Raggi e 5S, la Meloni, fuori dal governo, sostiene un candidato in coalizione con FI e Lega che sono al governo con i 5s, e per questo concentrano la loro campagna contro la Raggi senza esagerare sui 5S e Letta e il fedele Gualtieri si guardano bene dal fare alcuna polemica, non solo contro i 5s, ma anche contro la Raggi…
L’antigrillismo politico, a sua volta si distingue in sociale/economico e antropologico: il primo è correlato allo spostamento verso nord ed all’aumentare del reddito, il secondo riguarda il rifiuto della tipologia del grillismo in termini estetici, culturali e quasi morfologici. Mentre l’antigrillismo politico crea fenomeni drammatici ma straordinari come Di Maio, ministro degli Esteri quello sociale/economico e antropologico, genera conflittualità e disagi che rischiamo di durare a lungo anche quando sarà sparito l’ultimo grillino. Gli unici argini a questa rischiosa risacca di stupidità, capace di infettare la politica italiana ancora a lungo sono, e spiegherò perché, Calenda, Meloni e Renzi.
Solo loro, su fronti lontani e contrapposti, stanno riportando la politica al centro del dibattito. Non certo Salvini che dopo aver votato il reddito di cittadinanza e la riforma Bonafede per portare a casa una provvisoria e illusoria Quota100, sta vedendo svanire non solo i pieni poteri, ma la posizione di socio di maggioranza del centrodestra, ancor meno Letta che, dopo aver ereditato la triste politica zingarettiana, è ancora invischiato nella ricerca della sponda grillina alla quale appoggiarsi. Insomma non a caso è nell’antigrillismo radicale che dobbiamo cercare le energie per ridisegnare il quadro politico e consegnarci un Italia diversa alle prossime elezioni.
Calenda, Meloni e Renzi sono su posizioni intransigenti di chiusura al grillismo come simbolo dell’antipolitica e del qualunquismo, non ricercano alcun dialogo e non sono disponibili a concedergli alcun riconoscimento, la loro azione è rivolta a terminare ogni esperienza politica grillina, che sia un sindaco, un presidente del Consiglio o una vasta rappresentanza parlamentare. Dopo la follia delle ultime due legislature e i tre governi grillini dell’attuale, è nella contrapposizione netta al grillismo e nello smembrare quel poco che resta di loro che Calenda, Meloni e Renzi potranno trovare il loro spazio politico.
Calenda, con la vittoria a Roma o anche solo raggiungendo il ballottaggio, potrebbe schiantare il sistema di potere piddino. Meloni, ormai socio di maggioranza virtuale del centrodestra, avrebbe la possibilità di ricompattarlo rinunciando alle pose sovraniste e unendolo su un tema identitario cavalcando i referendum sulla giustizia. Renzi, dopo l’abbattimento del Conte2, troverà, se vedrà la luce l’atteso referendum sull’abolizione del reddito di cittadinanza, la benzina della quale ha bisogno per riavviare i motori di Italia Viva dopo la vicenda Open, la ferocia giustizialista della quale è stato vittima insieme alla sua famiglia e il recente fallo di reazione della magistratura, con l’invenzione del traffico di documentario illecito dopo la pubblicazione del nuovo libro.
Con il governo Draghi, l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, l’arrivo delle ingenti risorse del Pnrr, e la scadenza elettorale del 2023, il quadro politico sarà completamente scomposto e ricomposto su basi nuove.
E mentre il Pd è ormai solo una potente infrastruttura messa al servizio di una nomenclatura sfiancata dal troppo potere e dalle troppe contraddizioni, capace di canalizzare un ormai striminzito consenso che vorrebbe condividere con i cascami grillini, il partito unico del centrodestra arranca tra sospetti e rancori. Per questo i protagonisti, intorno ai quali costruire nuove coalizioni, nate dalle ceneri di 5s, Pd e Forza Italia, potranno essere Calenda, Meloni e Renzi, in un quadro tripolare, unico elemento di novità introdotto da grillismo, al quale gli elettori sembrano essersi abituati.
Antonio De Filippi, 14 luglio 2021