Neppure due temporeggiatori seriali come Mattarella e Conte riusciranno ad evitare, tra qualche mese, che i romani votino il loro prossimo primo cittadino. La corsa è iniziata. Siamo già alle prime agguerrite schermaglie. Ad uscire di scena, malinconica e malconcia, Virginia Raggi che più nessuno dei big grillini è disposto ad appoggiare. Da cinque anni, come un “Giuseppi” in gonnella, si limita a rinviare ogni questione, con una Roma che è diventata la Caput Mundi delle buche e delle voragini, del caos della spazzatura e dei trasporti, con cassonetti e autobus che bruciano come nella Chicago degli anni Trenta. Nell’ultima settimana è cominciato, all’ombra del Covid, quel gioco di nascondino al buio in cui nessuno sembra disposto a fare la prima mossa. Anzi, tutti si schermiscono dicendo che la Capitale è ingovernabile con un buco di bilancio di 13 miliardi di euro.
Per ripensare Roma, dopo i tanti inutili tentativi della destra e della sinistra e con la strenua opposizione di sindacati, lobby e piccoli appaltatori, si potrebbe partire facendo cassa con la vendita di Acea e Atac. La prima, che distribuisce acqua, gas ed energia a Roma, dopo la cura Donnarumma ha buoni risultati sia sul piano aziendale che in borsa e la vendita del 51%, o di una quota inferiore, della partecipazione del Comune, magari incorporando anche Ama, l’azienda dei rifiuti, potrebbe portare nelle casse dell’Urbe fino a un miliardo di euro. Più complicata la situazione di Atac, l’azienda dei trasporti che va completamente ristrutturata e che potrebbe diventare una partita da giocare con Trenitalia.
A schermirsi con più convinzione degli altri, la grande favorita per la corsa al Campidoglio, la romanissima Giorgia Meloni, l’unica capace di battere il candidato della sinistra. Ma, forte dei sondaggi in crescita, si è ormai convinta che l’unico Palazzo a lei congeniale è Chigi. A poco serve ricordarle che il Campidoglio è una finestra straordinaria anche sul Vaticano, che Putin iniziò da San Pietroburgo come primo cittadino, Johnson da Londra e Chirac da Parigi. Peraltro, proprio a Parigi attualmente vive e insegna spensierato un esule della politica italiana, Enrico Letta. Nei sondaggi che girano al Nazareno è il più forte candidato sindaco che la sinistra possa mettere in campo, capace di intercettare i voti del centro e portatore di grandi rapporti creati come segretario generale dell’Arel, la creatura di Beniamino Andreatta e Umberto Agnelli, ben vista anche da John Elkann, da poco padre-padrone di Repubblica.
Un altro che fa finta di niente ma è in perenne campagna elettorale, riuscendo, di questi tempi, ad essere più presenzialista in tv di un virologo, è Carlo Calenda, oggi europarlamentare, grazie ad una carriera che lo ha visto mollare tutti quelli che lo hanno aiutato. Qualche nome: Montezemolo, Punzo di Napoli, Renzi, che lo fece ambasciatore e ministro, e Zingaretti che, dopo averlo messo in lista, è stato accoltellato con la fondazione di un partitino da prefisso telefonico. Ed oggi insegue, smanioso di gloria com’è, quei centri di potere che aiutano, come l’Acer, la potente associazione dei costruttori romani guidata da Nicolò Rebecchini. Ma a sinistra si muovono anche altri ronzini legati ai vecchi apparati romani: Roberto Morassut, oggi sottosegretario, uno che certamente saprebbe come far ripartire gli uffici del Campidoglio. Praticamente non pervenute le donne: ci hanno pensato, ma solo per un attimo, Marianna Madia, una madonnina addolorata, e tale Francesca Bria, catapultata da Barcellona, dove era assessore, a Roma con un incarico parapubblico e che collabora con Mariana Mazzucato, la teorica dell’ingresso dello Stato nelle aziende.