Giorgia’s got talent. Mentre il matrimonio tra il presidente Meloni e il Paese è in luna di miele, quello con i Palazzi del potere inizia a scricchiolare. Molti potentati si sono già messi di traverso, rendendo quindi necessario bloccare i maneggi dei ‘gufi’ denunciati dalla premier. Quella sinistra ‘woke’, ostriche e champagne, che non è solo il Pd di Letta con la sua sbandata opposizione parlamentare gemellata con quella sinistra Dc, vista Quirinale, cresciuta all’ombra degli Andreatta e dei Prodi.
Esiste un altro mondo “woke”, quello del potere economico: dagli uffici del Mef e della Banca d’Italia, alla cultura, le soprintendenze dei Beni Culturali e le Università, gli uffici acquisti e del personale dei grandi enti pubblici, a partire dall’Eni di Claudio Descalzi dove, secondo i rumors, già stanno approdando diversi Draghetti ed ex grillini e piddini trombati.
C’è la magistratura militante che, come dice Alessandro Sallusti, si è ben attrezzata in questi mesi. E poi, ovviamente, i ‘media’, con in testa la Rai, in mano a dirigenti organici a quel mondo e ad autori ben irregimentati e con una rete in servizio effettivo permanente, come La7, inutili gli inviti alla moderazione del patron Cairo, arresosi davanti alla “trimurti” Gruber-Formigli-Floris, il cui faro sono le teste più ‘toste’ de Il Fatto Quotidiano.
Infine abbiamo tutto quel sottobosco dei Servizi, dove si annidano, nelle varie divisioni, agenti veterani che sotto traccia gestiscono informative e trascrizioni scottanti e che nemmeno galantuomini come i generali Giovanni Caravelli e Mario Parente riescono a stanare. Affidare la responsabilità di questo comparto ad Alfredo Mantovano, addirittura con una norma ad hoc, è stato un errore – non certo in eligendo, essendo una delle personalità più limpide e preparate dell’intero Esecutivo – bensì per la concomitanza con il suo già gravoso incarico di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. È mai possibile che Meloni non abbia trovato un prefetto o un diplomatico di fiducia per seguire i Servizi? Un mondo pieno di ombre che ha bisogno di ok improvvisi per far partire azioni di controspionaggio, autorizzare spese extra, tenere relazioni delicate, dalla Cia al Mossad.
Sono tanti i marziani che Meloni deve abbattere per restare una superstar. Per farlo occorre discontinuità e l’inizio della rivoluzione potrebbe partire dal Mef forzando un po’ la mano al ministro Giorgetti, ancora troppo intimorito dall’ombra di Super Mario. Dirigenti come Alessandro Rivera (pupillo di Guzzetti e Bazoli) e Filippo Giansante della direzione generale del Tesoro o Alessandra dal Verme al Demanio (chissà se a pranzo a Bruxelles gliene ha parlato il cognato Gentiloni) non andrebbero confermati proprio per la tanta invocata questione di merito. Unum castigabis, centum emendabis, per parafrasare Mao o i gesuiti. Ma Meloni, per fare ciò, non deve prestare il fianco a strumentalizzazioni, come purtroppo è successo nelle prime mosse, vedi il giusto provvedimento sui ‘rave’ voluto, sembra, dalla manona del forzuto sottosegretario Andrea Delmastro che ha spiazzato perfino due ministri avveduti come Piantedosi e Nordio che sono dovuti correre ai ripari.
Di questi temi divisivi, così come di quelli etici dove la ministra Eugenia Roccella sta già creando tensioni, dovrebbe investire, tramite disegni di legge e non decreti il Parlamento. In politica estera, peraltro, a parte il significato simbolico di andare in Europa il giorno prima della Nota di aggiornamento al Def, ha dato ingiustamente l’idea di colei che va a prendere ordini da Bruxelles.
Per stare a quel tavolo bisogna saper giocare le proprie carte. I tedeschi fanno pesare, come sempre, la loro economia. I francesi si agitano di continuo e menano colpi all’impazzata. I polacchi sono quasi sulla linea del fronte e presidiano il fianco orientale di Nato e Ue. Da Meloni ci si aspetta un presidio forte in Libia. I migranti che vuole rifilare a tedeschi e norvegesi, non sono altro che il sintomo di un malessere profondo: il conflitto riacutizzato tra turchi, egiziani e francesi. Se la premier vuole contare tra i suoi pari, deve imparare a distinguere le cause dai sintomi e impadronirsi rapidamente delle leve: Aise, Eni e financo gli operativi di Sant’Egidio, che ormai il Vaticano dà in leasing ai francesi. I due diplomatici che ha chiamato a Chigi: Luca Ferrari, longa manus di Terzi di Sant’Agata, e Francesco Talò, che arriva dalla Nato, soprannominato alla Farnesina ‘fiume di parole’, stanno facendo bene il loro lavoro? E c’era il bisogno di chiamarne due? Con le bollette un’altra partita scottante di queste ore, Tim, che il gran capo di Cdp Scannapieco ha gestito in modo inconsistente, è necessario che venga finalmente affrontata sul serio. L’Opa che si pensa di autorizzare deve essere mossa da soggetti che vogliono apportare capitali nuovi e rifinanziare il debito. L’ammucchiata, da Vivendi a KKR con Macquarie e altri, solo per rendere tutti felici ed evitare ora il problema, creerà questioni peggiori. Chi definirà il nuovo piano, visto che quello attuale di Labriola è stato bocciato? La rete sarà dello Stato? I fondi che ruolo avranno? E la Consob continuerà ad essere solo un convitato di pietra? Come può Vivendi partecipare ad un’Opa offrendo un valore inferiore a quello che attualmente ha in bilancio per Tim?
Prendere decisioni è un atto di responsabilità ma Meloni e Giorgetti, per ora, non riescono neppure a nominare come Presidente uno come Massimo Sarmi che, da sempre, ha mangiato pane e Tim. Tuttavia Meloni ce la può fare, deve però evitare conferenze stampa sfilacciate che servono solo a dar voce a gufi e avvoltoi. Daje Giorgia!
Luigi Bisignani, Il Tempo 6 novembre 2022