Leggete il progressista eccentrico Rampini, care iene progressiste all’ammasso. Com’è, il vostro mantra? Maledetta sanità a stelle e strisce, tutta piegata al culto del Dio profitto (che poi è ciò che solo ci fa avere medicinali, ospedali, tecnologia, ma questo è ancora altro discorso), cinica, probabilmente in odor di suprematismo bianco, un sistema basato sul tradimento di Ippocrate, che lascia morire la gente per le strade e ha perso il controllo dell’epidemia Covid.
Tampone in venti minuti
Lo diciamo come il gentiluomo Rampini, molto più chic che radical, frequentatore in completo inappuntabile dell’intellighenzia della East Coast, ma profondamente conscio che la vera America sta altrove, non lo direbbe mai: puttanate. Per averne la prova incontrovertibile, basta leggere la cronaca che l’inviato di Repubblica (l’unico dalle sue parti a scavare con distacco analitico il fenomeno-Trump, piuttosto che farci propaganda contro) fa della sua convivenza odierna con il virus. “Venerdì ero risultato positivo al tampone”. “Gratuito”, specifica, perché conosce i suoi polli ideologici. Le modalità dell’esame sono state le seguenti: “Venti minuti di fila senza prenotazione, cinque di attesa per il risultato”. Riscriviamolo, perché nell’Italia giallorossa delle giornate intere in fila ai drive-in e delle famiglie che denunciano di attendere l’esito da più di dieci giorni è pura surrealtà. Venti minuti di fila, in una megalopoli dalla densità eccezionale. Cinque minuti per il risultato, e questa è un’altra galassia, dal punto di vista sanitario, gestionale, esistenziale.
Stato “amico”
Ma è quel che accade da lì in poi, a spalancare un solco definitivo con l’Italietta che sostiene di essersi preparata alla seconda ondata disquisendo per mesi di banchi a rotelle e monopattini. Lei prima gli scrive, poi telefona, quindi si presenta fuori di casa. Lei è una dei diecimila assunti nella task force dei covid-contact-tracer dello Stato di New York (il fatto che gli Usa non siano un Paese a vocazione statalista-parassitaria agevola la fattibilità di spese pubbliche impreviste, ove necessario). L’ha immediatamente allertata lo stesso ambulatorio in cui il giornalista ha eseguito il tampone. “Gentilissima, prima si è voluta informare sul mio stato di salute, se io viva da solo, se abbia bisogno di aiuto”. Tradotto nel linguaggio dell’emergenza: ha fatto saltare la prima barriera, quella che ogni positivo al virus scorge di colpo tra sé e il mondo. Il telefono muto, l’Asl che non richiama, il protocollo inesistente. Macché, lì il protocollo “si è dilungato sui sintomi, nel mio caso per fortuna pochi e lievi (un paio di sere con la febbre, colpi di tosse sporadici)”, per un primo inquadramento del grado di manifestazione della malattia. Dopodiché, “altre domande su mia moglie, visto che viviamo nello stesso appartamento, e il distanziamento tra noi non è semplice: lo Stato potrebbe ospitare uno di noi due in albergo”. Proprio così: lo Stato mi impone un obbligo che viola la mia libertà di circolazione (un tema che Oltreoceano è rilevante non solo sulla carta costituzionale, ma con altrettanta “serietà” nella prassi quotidiana, per usare un termine infelicemente attribuito dal presidente Mattarella alle gesta del governo Conte-Casalino)? Quantomeno si attrezza perché la lesione del diritto (non la “nuova normalità” di cui parlano frotte di stracotti intellò nostrani) sia il più confortevole possibile.
La “tracer”, continua Rampini, “mi ha ricordato quali sintomi gravi devono far scattare il ricovero ospedaliero. Mi ha chiesto se ho un medico di famiglia con cui consultarmi al telefono; se conosco l’indirizzo del pronto soccorso più vicino”. Si è assicurata, quindi, che il contagiato sia inserito nella locale rete di protezione sanitaria, e conscio di come comportarsi in caso di peggioramento delle condizioni. Non solo: chiede “se con mia moglie abbiamo una rete di amici su cui appoggiarci, per esempio per acquisti di cibo e medicinali”, e se “mi aiuterebbe l’assistenza di uno psicologo”. La pandemia non è monodimensionale, non vige negli States l’esclusiva ossessione sanitaria, ma è anche economica e fin psicologica, l’individuo eccede il paziente, anche nelle emergenze, forse soprattutto nelle emergenze. Proprio per questo, bisogna accertarsi da subito che non perda troppo i legami con quella rete comunitaria spontanea che è l’opposto dell’apparato burocratico statale, come capì per primo il visconte Alexis de Tocqueville nella sua insuperata diagnosi sulla “democrazia in America”.
Non è filosofia, è esperienza, e apprendimento da essa: “Abbiamo subito un disastro. Non è stato inutile. Oggi questa metropoli – con meno di 9 milioni di abitanti – sta facendo più test quotidiani di tutta l’Italia”. Noi abbiamo subito un disastro, ed è stato inutile, anzi dannoso, la lezione che ne abbiamo ricavato suona sempre e solo: comprimere ulteriormente le libertà fondamentali, e finire di ammazzare l’economia. Voglio il modello americano, ora.
Giovanni Sallusti, 23 ottobre 2020