Continua l’indagine sull’incidente verificatosi a Milano all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, dove la notte tra il 23 e il 24 novembre, un inseguimento ad alta velocità ha condotto alla morte di Ramy Elgaml, diciannovenne, e al ferimento grave di Fares Bouzidi, alla guida dello scooter coinvolto.
La dinamica dei fatti pone al centro della vicenda l’inseguimento scaturito dalla decisione dei due giovani di non fermarsi a un controllo dei carabinieri, culminato in un fatale incidente. Durante l’interrogatorio, di fronte al giudice Marta Pollicino e riportato dall’avvocato Marco Romagnoli, Bouzidi ha ricostruito l’accaduto, attribuendo la caduta all’urto con l’auto dei carabinieri, contrariamente a quanto scritto nel rapporto dell’Arma che suggeriva una perdita di controllo autonoma dello scooter. Ha inoltre motivato la fuga con il timore delle conseguenze legali derivanti dalla mancanza di patente.
“Ha risposto con difficoltà a tutte le domande, ha confermato di essere stato stato urtato dall’auto dei carabinieri”, ha riferito l’avvocato Marco Romagnoli a Repubblica. “Non ho perso io il controllo dello scooter, ho sentito un urto, una spinta da dietro”. Il giovane ha confessato di non essersi fermato quando i carabinieri lo hanno invitato a farlo, ma “ma non ha un alt, ho incrociato la macchina, ma ho ho reagito scappando quando si sono avvicinati perché ho avuto paura, non avevo la patente. Loro sono venuti dietro, ho accelerato e loro ancora dietro”. Otto chilometri di inseguimento non sono pochi. Ci può stare un primo momento di spaesamento, ma perché correre così tanto? “Non mi sono accorto che Rami aveva perso il casco – ha detto Fares –. Speravo di trovare un momento per fermarmi o rallentare e farlo scendere”.
Per quanto riguarda i quasi 800 euro che gli sono stai trovati addosso e alla catenina rotta, Bouzidi ha detto di aver trascorso “una normalissima serata tra ragazzi” e avrebbe mostrato una fotografia della scorsa estate con indosso la sua catenina, quella che è stata trovata dai carabinieri. Gli avvocati hanno chiesto la revoca dei domiciliari disposti per la resistenza a pubblico ufficiale.
Le indagini sulla notte che ha visto la scomparsa di Elgaml adesso continueranno con la collaborazione di un ingegnere per esaminare le prove disponibili, tra cui video e testimonianze. Nonostante le prime valutazioni escludano un’intenzionalità nello speronamento da parte dei carabinieri, i pm hanno indagato due militari con accuse di favoreggiamento, frode processuale e di depistaggio. Alcuni testimoni hanno detto di aver subito pressioni per eliminare i video dell’incidente.
L’indagine prevede la realizzazione di una consulenza cinematica per chiarire definitivamente la sequenza degli eventi e stabilire le eventuali responsabilità. Questo momento sarà decisivo per comprendere la dinamica dell’incidente e per rispondere ai numerosi interrogativi sollevati sulla morte del giovane egiziano di Corvetto.