Cronaca

Esclusivo

Ramy, l’ordine ai carabinieri: non fatevi vedere a Corvetto

La decisione presa al tavolo per l’ordine e la sicurezza pubblica: nella zona dell’incidente (e delle rivolte) il pronto intervento affidato alla polizia. L’Arma è tornata solo ieri sera

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La voce gira e trova conferma in più di una fonte. Il giorno dopo il decesso di Ramy Engalm, il giovane di origini egiziane morto a seguito di un incidente stradale dopo una folle fuga notturna, le autorità che gestiscono l’ordine pubblico di Milano hanno deciso di far fare un mezzo passo indietro allo Stato. Una mossa tattica, forse comprensibile, ma decisamente simbolica: ai carabinieri è stata di fatto “tolta” la gestione dell’area che include il quartiere Corvetto per evitare che le gazzelle del Radiomobile dell’Arma venissero avvistate dagli amici del defunto e dai fomentatori della rivolte di una settimana fa.

Milano da quasi 20 anni è divisa in tre macro aeree per le operazioni di pronto intervento delle forze dell’ordine. Due sono gestite dalla polizia di Stato, con le sue volanti; e una dai carabinieri, in sella alle gazzelle. Il Radiomobile meneghino è uno di quei reparti che se ti capita di finirci a lavorare difficilmente ti fai un giorno in ufficio. Conoscono il territorio, anche e soprattutto quello di Corvetto che rientra nella loro area di competenza. Poche ore dopo l’incidente fatale all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, con Ramy morto sul colpo e l’amico alla guida dello scooter ricoverato in ospedale, alla riunione straordinaria del tavolo per l’ordine e la sicurezza pubblica arriva l’ordine alle pattuglie dell’Arma di cambiare aria. Per diversi giorni, almeno una settimana, ai carabinieri sono state assegnate le altre due “macro-aree” mentre i poliziotti si sono presi la zona calda del Corvetto.

Scelta giusta? Scelta sbagliata? Oppure solo un modo per evitare altre tensioni in attesa che tornasse il sereno? Lo capiremo solo oggi e nei prossimi giorni visto che da ieri sera i carabinieri sono tornati sul posto, non senza qualche apprensione per l’effetto che potrà fare sui residenti. Certo è che non pochi militari, pur comprendendo la necessità di tutelare la loro incolumità, hanno preso la decisione come una sconfitta e forse anche come una sorta di ammissione di colpevolezza. È come se si fossero sentiti dire: “Per un po’, non fatevi vedere a Corvetto”.

Tuttavia i militari sono militari, e hanno ovviamente obbedito alle disposizioni della prefettura pur non condividendole in larga parte. “Sarà stata fatta una qualche valutazione superiore”, sussurra qualcuno. E poi tanti mugugni e qualche sospiro. Che diventano quasi rabbia a leggere certi titoli sui giornali, vedi il Manifesto, secondo cui l’indagine a carico del “fratello di giubba” altro non sarebbe stato che un modo per “placare le violenze”.

Responsabilità penali che non solo il carabiniere indagato per omicidio stradale rispedisce al mittente, ma che anche anche i colleghi respingono con forza. Anzi: molti sono convinti che non fosse neppure necessario indagare il militare, vista la dinamica dei fatti e la convinzione, da parte dell’Arma, che lo scooter sia scivolato da solo senza alcun contatto con la gazzella. Perché va bene la storia dell’atto dovuto a tutela del militare, ma ritrovarsi sul groppone un’indagine per omicidio pesa. Non solo dal punto di vista psicologico ma anche economico, e non è un caso se colleghi, amici e tanti italiani hanno messo mano al portafoglio per sostenere con una raccolta fondi da 50mila euro le spese legali a chi l’indagato dovrà andare incontro.

La procura, coordinata dal procuratore Marcello Viola, sta scandagliando i video delle telecamere di sicurezza per definire esattamente la dinamica dei fatti. Un testimone si sarebbe presentato ai pm affermando di aver visto il contatto tra la gazzella e lo scooter, versione a cui ora i magistrati dovranno trovare riscontri. Le Iene, invece, hanno intervistato due ragazzi secondo cui i militari li avrebbero costretti a cancellare i video dell’incidente dai cellulari. Accusa che il comando generale ritiene priva di fondamento perché “l’Arma dei Carabinieri non ha mai fatto, ne farà mai cose del genere”.

Ieri intanto si sono svolti i funerali di Ramy. E l’imam che li ha celebrati, proprio come il padre del 19enne, ha lanciato un appello alla responsabilità dopo le notti di violenti scontri andati in scena poche ore dopo la tragedia. “La morte del nostro fratello – ha detto Mahmoud Asfa – dovrebbe essere un punto di partenza per migliorare la nostra vita e la nostra presenza come comunità musulmana a Milano e in Italia. Dobbiamo essere rispettosi e rispettati”. Restano però le ferite di quelle rivolte. Per Piantedosi, Corvetto è sì un territorio difficile ma non fuori controllo visto che nell’anno in corso sono state realizzate “una cinquantina di operazioni di Alto Impatto con circa 160 arresti”. Una zona complicata, che da ieri sera è tornata nelle mani dai Carabinieri. Sperando che questo non provochi ulteriori notti di guerriglia.

Giuseppe De Lorenzo, 5 dicembre 2024

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