Rapinati, picchiati, stuprate: Milano città fuori controllo

Maria picchiata e maltrattata in Bovisa. L’incauto rapinato dal Rolex. E poi le violenze sessuali in strada. La città è fuori controllo

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studentessa aggredita

A questo punto la domanda è se abbia ancora senso vivere la città, rimpiangere la città. Ed è l’unica possibile, l’unica ancora da porsi. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, può vantarsi, intervistato da un giornale, “abbiamo messo in sicurezza la Stazione Centrale” ma se in sei, sette mesi sbarcano altri novantamila clandestini la sicurezza è un’utopia o una propaganda senza pretesa di fondamento. Quelle cose che si dichiarano ai giornalisti per dire qualcosa, per fingere una attività che non c’è e non c’è perché è impossibile. Nessuno sa quanti siano questi disperati, questi fantasmi agitati che si vedono dappertutto, che popolano le stazioni e le strade, non solo dell’hinterland e non più solo della periferia o semiperiferia; anzi, a stringere, nei cerchi sempre più concentrici attorno al centro e fin dentro al cuore, come nella Loggia dei Mercanti a venti passi dal Duomo di Milano dove gang di minorenni africani si affrontano o aggrediscono chi passa.

A Lambrate, che sta a un chilometro da piazzale Loreto, un extracomunitario quasi scanna con una bottiglia spezzata un ragazzino uscito dalla stazione della metro per rubargli il telefonino, ma in via sant’Andrea, che sta incastonata nel diadema metropolitano e modaiolo, un incauto col Rolex dura meno di dieci minuti, glielo strappano e per poco non gli portano via anche il braccio. E sentite quest’altra, capitata alla Bovisa, quella della gronda nord, uno dei quartieri famigerati che nessuna gentrificazione potrà mai sanare e infatti è conquistata dai fantasmi pronti a tutto. Una vicenda talmente tipica da sembrare il copione di un racconto dove tutto è scontato, non manca niente: il sabato notte, la ragazza, questa davvero immigrata, che di giorno studia al Politecnico e di sera fa la cameriera, rincasa tardi, scende dall’autobus, si ritrova nel buio del vuoto ma senza neanche il tempo di preoccuparsi, un fruscio di passi, come una folata di vento cattivo ed ecco un corpo che la investe, la schiaccia a terra, vuole la borsa, vuole quello che ha. Con lei che reagisce, urla, scalcia ma il corpo non cede, la pesta, la calpesta, le grattugia la faccia di colpi, gliela struscia contro il marciapiede per 5 minuti di terrificante eternità. La fortuna, e qui il copione cede al cliché, è che da una vineria esce uno con una spranga, mette in fuga il fantasma, che pochissimo dopo viene rintracciato, identificato dalla vittima: un egizio di 29 anni, niente precedenti noti, forse appena sbarcato. Finisce bene, tutto sommato, ma poteva essere l’ennesima tragedia spicciola.

Per approfondire

Ha senso vivere a Milano, vivere così? Per Maria che l’ha scampata bella è una domanda che non ha senso, che ha una risposta sola: “Dovrei forse chiudermi in casa?”. E, quanto al tornare indietro, non vuole neppure pensarci e c’è da capirla: qui ha imparato a volare, come nella canzone di Finardi, per dire che ha imparato, sta imparando a trasformare i sogni immaturi in realtà: il futuro da designer, la laurea al Politecnico, una vita da creatrice di moda, nella città della moda. Ma lo è ancora Milano? O cosa è adesso questa città a inferno dove gli alberi volano via come giavellotti scagliati dal vento perché non hanno radici e il Comune non trova di meglio che vietare i parchi ai pedoni, dopo le auto a chi traffica, e, domani, la città ai cittadini, come dice giustamente Andrea Venanzoni. La città dove le violenze vengono derubricate da chi comanda a “percezioni” che è come dire vengono irrise. Maria non vuole mollare, ha 20 anni, se anche lei si arrende è finita, ma non può sfuggire “alla contraddizion che nol consente”: “Mantengo” dice “un atteggiamento positivo” però aggiunge che le serve uno psicologo. E se per vivere a Milano, a Roma ci vuole lo psicologo, allora vuol dire che la situazione è ampiamente fuori controllo e nessuno ha idea di cosa fare. Salvo il fatalismo da “a chi tocca, tocca”. La studentessa lavoratrice Maria non vuole tornare a Pompei, vuole restare ma questo non è un film con Jerry Calà e Marina Suma e questi non sono gli anni ‘80 e lei per prima cosa è scappata, è andata in vacanza, ovunque ma non qui, non nella borgata infestata di fantasmi che ti scorticano la faccia.

“Maria della Bovisa”: pare una canzone di Jannacci, ma chissà se lo stralunato geniale Enzo, medico chirurgo e agitatore culturale, avrebbe trovato il coraggio di scriverla, chissà se almeno lui, uomo, artista di sinistra avrebbe trovato il coraggio di dire le cose come stanno e cioè che nella partita fra i deboli, le camerierine terrone salite fin qui per volare e i fantasmi saliti fin qui per spegnere i sogni come lampioni di una città fatta a inferno, la politica come l’informazione, il mondo della cultura come la società dissociata si sono arresi, non prendono più posizione o la prendono per i fantasmi che sembrano i più poveri tra i poveri e invece non lo sono.

Gli ultimi degli ultimi sono quelle come Maria, che si ammazza di studio e di lavoro e la stendono sull’asfalto a pugni e ginocchiate per rapinarla o stuprarla. E nell’assuefazione generale la gente dice: a chi tocca, tocca, comunque le è andata ancora bene. Maria di Pompei resta aggrappata a Milano coi denti, è coraggiosa, ha tenuto testa al fantasma ma a salvarla è stata uno con una spranga: la violenza per la violenza, la legge della jungla nella città fatta a inferno dove la polizia è soverchiata da infiniti scippi, violenze, aggressioni, risse, faide e, se arriva, arriva tardi. Poi la disperazione spinge a rimuovere la realtà, a non vedere quel che c’è, a mentire a se stessi, “mantengo un atteggiamento positivo” ma come va a finire è chiaro a tutti: “Non voglio avere paura ma spero che non torni libero entro pochi giorni”. Invece è proprio quello che succederà, se non è già successo, e non è escluso che quello torni a cercarla, per vendetta, per finire il lavoro. E Maria, come le ha consigliato la polizia, se n’è andata, almeno per un po’. Ma tornerà e la città sarà perduta come un mese fa, se non peggio, e sarà ancora più difficile eludere l’unica domanda, se valga la pena giocarsi la faccia e magari la vita per una metropoli dove i sogni muoiono all’alba, muoiono la sera, abortiscono ad ogni ora ma sei caldamente invitato a non rompere i coglioni a chi la amministra e in testa ha un’idea meravigliosa, rendere la città più inclusiva ai fantasmi, impossibile a tutti gli altri.

Max Del Papa, 1 agosto 2023

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