Addio all'ex presidente

Re Giorgio Napolitano, ritratto di un opportunista

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Il re è morto. Uno strano re, a dire il vero, dal momento che è stato, per un decennio, re di una repubblica, la nostra. Se ne è andato dopo aver attraversato l’intera storia politica dell’Italia del dopoguerra, conosciuto le più intime trame, visto la fine dei suoi amici e dei suoi nemici. La prima, la seconda, l’embrione abortito della terza repubblica, ed infine il regno.

Napolitano è stato l’uomo di tutte queste stagioni, camaleontico, paziente, togliattiano, migliorista, democratico, europeista, ritrovatosi, infine, monarca assoluto. Napolitano è stato, anzitutto, un fedele, ostinato, comunista, e ciò quando comunista significava stalinista, significava stare dalla parte dell’Unione Sovietica ad ogni costo: fu all’allora trentenne, del resto, che Togliatti lasciò, nel 1956, la replica alle critiche di Giolitti, e difendere l’invasione dell’Ungheria sostenendo che l’intervento russo aveva contribuito a «salvare la pace nel mondo». Farà ammenda pubblica, certo: ma il suo “mea culpa” avverrà nel 1986, proprio mentre l’Urss esalava l’ultimo respiro. Un autentico opportunista.

Napolitano sarà, poi, “migliorista”, riformista. Il mio comunista preferito, disse Kissinger. Il più vicino – oggi dicono – al dialogo con il PSI e Craxi. Craxi, da parte sua, conserverà una cartella litografica, dedicata a “Bugiardi ed extraterrestri”, in cui aveva annotato: «Napolitano è stato per anni il responsabile delle relazioni internazionali del PCI. In questa veste “non poteva non sapere” e non poteva non avere un ruolo nel sistema di relazioni politiche tra il PCI, il potere sovietico ed i regimi comunisti dell’est, cui era connesso un sistema articolato di finanziamenti illegali di cui i comunisti italiani erano i primi ad avvantaggiarsene». E aggiungeva, poco più avanti: Napolitano «sentirà certamente l’obbligo politico e morale di dare il buon esempio», ossia di testimoniare circa il rapporto tra partiti e sistema dei finanziamenti della prima repubblica. Speranze mal riposte, si direbbe. Ma Craxi sapeva benissimo che Napolitano avrebbe parlato solo nel momento opportuno. Prima si deve attendere che il cadavere del nemico passi lungo il fiume. Così, dieci anni dopo la morte di Craxi, Napolitano potrà scrivere, candidamente, una toccante lettera alla moglie, Anna, ricordando la «durezza senza eguali» di cui era stato vittima.

Finita la prima repubblica, Napolitano sarà protagonista anche nella seconda, fino alla sua elezione a Presidente della Repubblica, nel 2006. Da allora, comincerà, pazientemente, a trasformare il suo settennato in un regno. Il colpo di Stato da lui architettato, per far fuori il governo Berlusconi, ha una data precisa: il novembre 2011, quando a colpi di spread riuscì ad ottenere le dimissioni del governo Berlusconi, nominando in un giorno Senatore a vita  Monti, e il giorno dopo mettendolo al posto di Berlusconi. Fu allora che il New York Times lo soprannominò “King George”, difensore delle istituzioni democratiche contro il primo populismo, quello berlusconiano.

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Quando, poi, arrivò il secondo populismo, con i 5 Stelle ad assediare il Parlamento invocando “Rodotà! Rodotà!” a Napolitano non parve vero: la sua rielezione, la prima nella storia del nostro Paese, lo incoronò definitivamente re. E come ogni re, non si è neppure privato del piacere di poter abdicare, nel 2015, ormai novantenne. Certo, gli ultimi mesi erano stati pesanti: alla fine del 2014, i giudici di Palermo andarono a sentire Napolitano come testimone per il processo relativo alla trattativa Stato-Mafia. Vicenda complessa, ed oscura, costata mesi di fatiche e polemiche: perché Re Giorgio, in realtà, era da un anno che si rifiutava di parlare, e di presentarsi davanti ai giudici palermitani.

Quali erano i segreti “indicibili” di quella storia? E perché Re Giorgio fece di tutto – compreso far intervenire la Corte costituzionale per far distruggere le intercettazioni di alcune sue conversazioni con Nicola Mancino – per evitare di essere coinvolto? Non lo sapremo mai. L’artefice del colpo di stato muore a pochi mesi di distanza dalla sua vittima.  E, mentre se ne celebrano i funerali, muore, in carcere, anche Matteo Messina Denaro. Chissà cosa si diranno quando si rivedranno tutti in cielo, di fronte ai cancelli del paradiso – perché Dio è certo infinitamente misericordioso.

Paolo Becchi, 27 settembre 2023
* articolo pubblicato sul Giornale del Piemonte e della Liguria

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