È il Consiglio europeo che dalla scorsa settimana decide di fatto in maniera sovietica e dirigistica la politica economica e sociale dell’Italia. Nel documento delle conclusioni del Concilio Europeo che regolano l’accordo della settimana scorsa ci sono sette righe il cui contenuto è così vago da permettere qualunque cosa. È una clausola così indefinita da apparire a ragione misteriosa e contenuta nell’articolo 69 “Misure collegate alla sana gestione economica” (sound economic governance) di ciascun stato membro. Il fatto che sia così vaga, stona con la maniacale precisione di un Superstato che regola le dimensioni delle vongole o la curvatura delle banane. Talora in diritto si ritrova una certa indeterminatezza concettuale ma non a questo livello, posto che l’oggetto è la “vita” di una nazione.
La clausola regola il meccanismo in virtù del quale l’Italia si vedrebbe tagliare l’erogazione dei fondi in tutto o in parte nel caso in cui si trovasse in una posizione non conforme alle raccomandazioni dell’Eu in materia di crescita e competitività. Ovvero io Eu ti concedo soldi in buona parte tuoi, contro sorveglianza rafforzata delle riforme che ti richiedo su crescita e competitività – ovvero tutto il campo di azione delle politiche di un Governo. In effetti viste le linee guida della Eu, questo altro non significa che adeguarsi ad una ulteriore compressione dei salari, un inasprimento dell’imposizione fiscale per compensare la riduzione del debito e ancor più l’impossibilità di emettere debito focalizzato a esigenze di cassa congiunturali o per progetti strutturali. Ovvero: più tasse, meno soldi in busta paga e maggiore precarietà (che la Eu chiama flessibilità).
Non abbiamo scelta: se non ci adegueremo al dirigismo Eu che vuole ridisegnare l’Italia nessun denaro. Il paradosso è che se guardiamo all’effetto netto del piano risultiamo contributori netti per 1,5 miliardi: ovvero paghiamo più soldi di quelli che riceviamo, questo si evince dai calcoli fatti elaborando i dati forniti da una brava economista ex Eu, la dott.ssa Silvia Merler. La clausola per “metterci il cappio al collo” è ben concepita apposta per bloccare futuri governi non allineati: essi saranno obbligati a seguire le direttive accettate dal governo Conte e da Gualtieri. Se così non fosse cesserebbero le erogazioni e avremmo due scenari: il peggiore è una fortissima tensione sui mercati del debito e un aumento dei tassi richiesti al mercato con una quasi contestuale ridotta capacità di accedere al mercato, come avvenne nel 2011 per motivazioni assolutamente esogene e che nulla avevano a che fare con la reale rischiosità dell’Italia – e conseguente ulteriore commissariamento del paese. In pratica economie egemoni ci “comprerebbero” a prezzi di saldo.
L’altro è meno drammatico, auspicabile ma meno probabile, e che poggerebbe tutto sulla capacità negoziale del nuovo governo di fare scelte drastiche, dure ed intransigenti e che metterebbero in discussione la stessa esistenza della Unione europea.