Il reddito di cittadinanza, come era prevedibile, è stato un clamoroso flop. Da tutti i punti di vista. Tra poco vedremo i motivi. Ma subito occorre sgomberare il campo da un equivoco. Una società liberale non ha il dovere, ma qualcosa di più, ha la convenienza a tutelare i più poveri. Ma nel farlo deve essere molto attenta a non compromettere gli incentivi al lavoro e non può redistribuire risorse che non ha.
Vediamo qualche numero. Quest’anno spenderemo per il reddito poco più di sette miliardi di euro. Circa 2,3 milioni di famiglie lo percepiscono, per un assegno medio di 564 euro. Due terzi degli assegni vanno al Sud e la sola Campania percepisce più assegni di tutto il Nord (peraltro con un importo di circa cento euro in più). La legge prevedeva che questa montagna di persone potesse svolgere lavori socialmente utili: praticamente nessun Comune è riuscito a mettere in piedi un progetto decente. Sul fronte della formazione di nuove professionalità, occorre dire chiaramente, che il dato (opaco) di lavori ottenuti dal sistema reddito-agenzia per il lavoro è pari a zero.
Qualcuno si ricorda ancora la polemica sulla fantasiosa previsione di togliere l’assegno se si fossero rifiutate tre offerte di lavoro? Fantascienza. Le offerte non ci sono state, e i rifiuti, in mancanza di offerte, tanto meno. Il reddito, per i suoi numerosi affezionati, sta funzionando perché in questo momento aiuta i più deboli. Falso. Aiuta alcuni deboli, e per di più secondo criteri arbitrari. E logiche perverse. È così necessario oggi aiutare un venticinquenne senza casa e reddito, posta la limitatezza delle risorse, e non un padre di famiglia cinquantenne che ha perso il lavoro e che – possedendo una casetta e forse un’auto – non è finanziabile? Con il paradossale effetto che il primo è dissuaso nell’inventarsi un lavoro, e il secondo è disperato e pronto a fare di tutto.