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Regeni, la verità che i suoi sostenitori non dicono - Seconda parte

A tutti ( a destra come a sinistra) stringe il cuore, pensando alla sorte toccata a Giulio Regeni e si vorrebbe fare qualcosa per la sua memoria e (soprattutto) per evitare il ripetersi di casi del genere ma c’è da scandalizzarsi se molti, non vedendo vie d’uscita, ritengono che lo striscione vada rimosso una buona volta anche perché di altre vittime da ricordare, a Trieste, ce ne sarebbero tante (a cominciare dalle ‘ pulizie etniche’ che per qualche intellettuale militante del luogo non sarebbero state tali, dal momento che coinvolsero anche persone con cognomi slavi— slavi, sì, ma italianizzati da quattro secoli!).

Al di là di ogni considerazione di merito, però, sconcerta la pretesa di imporre a un Consiglio Regionale di centro-destra una battaglia ideale che la maggioranza dei suoi membri non sente. Quello striscione dovrà rimanere sulla facciata della Regione Friuli VG a tempo indeterminato, finché non verrà fatta giustizia? Neppure i dreyfusardi o i compagni di Giacomo Matteotti avrebbero forse chiesto tanto. In realtà, sorge il sospetto di una rivincita morale: in Friuli il centro-destra ha stravinto le elezioni regionali e a quanti non l’hanno votato sembra essere rimasta soltanto la gratificazione di sbattere sulla faccia dei vincitori un simbolo di antifascismo, di antisovranismo, di antinazionalismo, di anticapitalismo (Regeni collaborava al ‘ Manifesto”). Agli uni i voti, agli altri la custodia dei valori ‘ repubblicani’.

Nel ventennio durante le sfilate dei gagliardetti e delle bandiere era imposto ai passanti l’obbligo di togliersi il cappello, anche (e soprattutto) agli scettici e agli indifferenti. Se ci si riflette bene i tempi non sono cambiati, anche se, per fortuna, alla violenza fisica si è sostituita la gogna morale e la delegittimazione di quanti non onorano Che Guevara e i suoi fratelli. A Trieste si vuole imporre il ‘ pensiero fisso di Regeni a tutti indistintamente, anche a quelli che, al di là dell’umana pietas, ritengono la battaglia per «la verità sulle responsabilità per la sua sparizione, la tortura e l’uccisione» inutile o, comunque, non prioritaria. A ragione o a torto. Diventeremo mai liberali?

Dino Cofrancesco, Il Dubbio 27 giugno 2019

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