Ci siamo. Oggi è il giorno in cui Giuseppe Conte dovrebbe rischiare la poltrona. Ma il pericolo è virtuale: i 5 stelle, perciò presi per i fondelli persino da Matteo Renzi (“non vogliono tornare a casa”, ha detto), si sono già messi d’accordo per votare la risoluzione pro Mes della maggioranza. Certo, al Senato i numeri sono ballerini e in Aula, la storia lo insegna, non puoi dire gatto se non ce l’hai nel sacco. La sensazione, comunque, è che al netto di una sparuta minoranza di grillini decisi al martirio – nel senso etimologico di “testimonianza” – per il premier non ci sarà alcuna Caporetto.
In realtà, in queste ore, la battaglia pare essersi spostata su un altro fronte: l’ennesima task force partorita dall’avvocato, stavolta per gestire il Recovery fund. Italia viva non ci sta: Parlamento esautorato, dicono, no ai pieni poteri all’inquilino di Palazzo Chigi. L’offensiva è partita dai pesci più piccoli, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, per proseguire, ieri, con la big Maria Elena Boschi e lo stesso senatore di Scandicci. Lui giura di essere pronto a far saltare il banco, a “non votare la legge di bilancio”. Anche questa, tuttavia, ha l’aria di una pantomima. Ormai l’abbiamo imparato: Renzi che abbaia non morde.
Cosa c’è davvero in ballo? Quello che c’è sempre: denaro e potere. I soldi dell’Unione europea e il capitale politico che assicurerebbe controllarne una fetta. Italia viva è piccola ma famelica. E l’ex presidente del Consiglio è troppo scafato per fingere, come fa il Pd, che la “cabina di regia” non sia fumo negli occhi, funzionale affinché il pallino rimanga in mano a Conte. Quasi un anno di Dpcm, conferenze stampa e altre “casalinate”, gli hanno dato un tantino alla testa.
Non è un caso nemmeno che il senatore critichi la fondazione sulla cybersicurezza, accusando il capo del governo di voler privatizzare l’intelligence: Giuseppi ha sempre voluto tenere per sé la delega ai servizi segreti, evidentemente convinto che rappresenti un’assicurazione sulla sua leadership. Come non è un caso che Renzi agiti lo scenario di un esecutivo tecnico, con lo spauracchio dell’avvocato, Mario Draghi. Una prospettiva che ribalterebbe completamente la furbata partorita da Palazzo Chigi: dai tecnici come paravento dell’uomo solo al comando, ai tecnici come strumento per liquidare lui. In buona sostanza, a Renzi e compagnia basta poco: avere la loro porzione nel grande banchetto del Recovery plan.
Per concludere: non vi aspettate che oggi scoppi la rivoluzione. Ma se anche questo pastrocchio di governo dovesse cadere, Sergio Mattarella non ci riporterebbe alle urne. Lo sapete: in Italia c’è sempre una buona ragione per non votare, se le elezioni può vincerle il centrodestra. Più probabile che il Colle scelga un traghettatore, giusto per finire di soggiogare il Paese: a eurotrappole licenziate e a nuovo presidente della Repubblica (di sinistra) nominato, sarà un piacere mandare al governo i sovranisti. Incaprettati.
Alessandro Rico, 9 dicembre 2020