I fallimenti vaccinali
Dulcis in fundo, viene affrontato l’aspetto dei cosiddetti fallimenti vaccinali; ma, ancora una volta, le indicazioni del documento a cura dell’ISS sono a dir poco vaghe, in una forma cautelativa che tutto fa tranne rassicurare: “Quali casi sono da considerarsi fallimenti vaccinali?”. Risposta: “Anche i soggetti vaccinati, seppur con rischio ridotto, possono andare incontro a infezione da SARS-CoV-2 poiché nessun vaccino è efficace al 100% e la risposta immunitaria alla vaccinazione può variare da soggetto a soggetto. Inoltre, la durata della protezione non è stata ancora definita. (…) Va specificato che i vaccini anti-COVID-19 attualmente disponibili, come riportato nelle rispettive schede tecniche, sono autorizzati per la prevenzione di malattia COVID-19 sintomatica e non per la prevenzione dell’infezione asintomatica (e di conseguenza la possibilità di avere un risultato positivo al tampone molecolare): pertanto, la definizione di fallimento vaccinale deve essere ancora standardizzata per la malattia asintomatica alla luce degli studi autorizzativi mirati alla sola malattia COVID-19 in forma sintomatica. Oltre a quanto riportato, deve essere considerato il fatto che, poiché lo sviluppo dei vaccini anti-COVID19 è stato molto rapido, non sono ancora state acquisite informazioni sulla durata a lungo termine della protezione successiva alla vaccinazione. (…) Una persona può infettarsi nei giorni immediatamente successivi alla vaccinazione, in quanto l’organismo necessita di un tempo minimo per sviluppare una completa risposta immunitaria protettiva (…) mentre per il vaccino AstraZeneca la protezione inizia da circa 3 settimane dopo la somministrazione della prima dose. Per tutti i vaccini al momento in uso in Italia è necessaria la somministrazione della seconda dose di vaccino al fine di ottenere una protezione ottimale”. Qui c’è almeno un passaggio inquietante, dove si specifica che “lo sviluppo dei vaccini è stato molto rapido, di conseguenza non sono state raggiunte informazioni certe circa l’effettiva protezione. È la conferma di quanto obiettano non i negazionisti, ma gli scettici del vaccino: come può un siero elaborato in troppo breve tempo lasciare tranquilli?
Il rapporto non fornisce certezze, anzi, in forma retorica, si chiede: “I programmi di screening dell’infezione degli operatori sanitari, inclusi quelli delle strutture residenziali socioassistenziali e sociosanitarie, devono essere modificati dopo l’introduzione della vaccinazione?”. E si risponde: “Alla luce delle conoscenze acquisite, non si ritiene, al momento, di dovere modificare i programmi di screening dell’infezione da SARS-CoV-2 in atto per gli operatori sanitari mantenendo inalterata la frequenza dei test. (…) Poiché, al momento, è impossibile correlare in modo preciso il titolo di anticorpi con il livello di protezione, la presenza di anticorpi all’esame sierologico non esime la persona dall’uso dei DPI e dispositivi medici, nonché dal seguire tutte le precauzioni standard e specifiche per impedire la trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2”. Alla luce delle conoscenze acquisite… Al momento è impossibile correlare… Tutte conferme di una sostanziale, e allarmante, condizione di incertezza nel mondo scientifico.
C’è spazio per un ultimo aspetto: “I contatti stretti di un caso di COVID-19 quando possono essere vaccinati?”. Risposta: “I contatti stretti di COVID-19 dovrebbero terminare la quarantena di 10-14 giorni secondo quanto previsto dalle normative ministeriali vigenti prima di potere essere sottoposti a vaccinazione. (…) Di conseguenza, le persone esposte ad un caso noto di COVID-19, identificate come contatti stretti, non devono possono (sic!) recarsi presso i centri vaccinali (anche per non rischiare di esporre a SARS-CoV-2 le persone nei mezzi pubblici, il personale sanitario deputato alle vaccinazioni, le altre persone presenti nel centro vaccinale, ecc.), ma devono terminare la quarantena di 10-14 giorni, secondo quanto previsto dalle normative ministeriali vigenti, prima di potere essere vaccinate”.
Chi ha avuto il Covid deve vaccinarsi?
Il meglio, come di prassi, arriva in fondo, e affronta la più urgente delle questioni: “Chi ha avuto il COVID-19 deve comunque vaccinarsi? È a rischio di avere delle reazioni avverse più frequenti o gravi al vaccino?”. Risposta: “La vaccinazione anti-COVID-19 si è dimostrata sicura anche in soggetti con precedente infezione da SARS-CoV-2, e, pertanto, può essere offerta indipendentemente da una pregressa infezione sintomatica o asintomatica da SARS-CoV-2. Ai fini della vaccinazione, non è indicato eseguire test diagnostici per accertare una pregressa infezione. È possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e, preferibilmente, entro i 6 mesi dalla stessa. Fanno eccezione i soggetti che presentino condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, i quali, pur con pregressa infezione da SARS-CoV-2, devono essere vaccinati quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi”.
Quindi, quasi di passata, scivolando sul pericolo: (…) Sulla base di dati molto preliminari è ipotizzabile che la risposta immunitaria alla seconda dose nei soggetti con pregressa infezione possa essere irrilevante o persino controproducente. Sebbene questi dati si riferiscano ai vaccini a mRNA, è ragionevole assumere che non vi siano differenze per altre tipologie di vaccini “. persino controproducente? In quale senso? In che misura? Il rapporto non approfondisce.