Repubblica ha voglia di dadzebao. Ha sempre voglia di dazebao. Quei bei manifesti degli anni ’70, tetri, foschi, che servivano a mettere nel mirino i dissidenti, i cani sciolti; i “fascisti”. Repubblica, il cui nume tutelare è un maestro così e così di 96 anni, ha la testa sempre e da sempre avvitata all’indietro, le ci vorrebbe un esorcista, e difatti perde più copie che pria; oggi sceglie di rieducare Marco Gervasoni, docente universitario, scrittore, editorialista e lo fa con un bel dazebao dove vengono messe in fila le sue malefatte su Twitter. Non è la sola: il giornale gemello, anche nell’emorragia di lettori, La Stampa, compie la stessa identica operazione, con un altro pezzo che è praticamente il ciclostile del primo, in quella che è con tutta evidenza una manovra a tenaglia: le firme, in questo senso, sono secondarie, sono irrilevanti.
Naturalmente, se no che dazebao è, la morale è a senso unico, quelle di Gervasoni sono malefatte perché lo decide Repubblica/Stampa col solito vecchio trucco di prendere e staccare le tesserine del puzzle, di farle grondare il sangue dell’amputazione: viene fuori la retrospettiva di uno psicopatico, è un dirty work che non fallisce mai. Siccome però il rosario degli attacchi di per sé dice poco, bisogna catechizzare il lettore-setta spiegandogli, ad nauseam, che trattasi di commenti sessisti-razzisti-fascisti e quindi andare a pescare nei codici etici delle università dove Gervasoni insegna o ha insegnato. Anche questo dice fino a un certo punto, ma insomma fa curriculum. Infine, la morale ed è questa la parte importante, il lievito: dopo avere spiegato, in modo un po’ parziale, che Gervasoni coi suoi commenti si è giocato la Luiss, si passa all’avvertimento in forma di rammarico, un po’ come, ma questa è puro vagheggiamento intellettuale, Stalin convocava Majakovskji: “Oh, ma perché se ne vuole andare da noi, che cosa le abbiamo fatto, perché ci fa questo?”. Majakovskij preoccupatissimo, sapeva dove l’altro voleva arrivare.
Anche Repubblica/Stampa, si sa dove vuole arrivare, e lo sa a maggior ragione Gervasoni, che sarà anche un twittatore feroce ma, da uomo colto e intelligente, coglie benissimo il senso dello scrupolo: ma come, quoque tu, che sei stato craxiano (nell’etica Repubblicana equivale allo stigma), proprio tu, che hai pure scritto per la nuova sinistra di Marx101, che nella morale Repubblichina vale l’accusa di apostasia… Ma sì: un po’ come ricordare l’ur-fascismo di Scalfari. Occhio al cranio, camerata Gervasoni (a scanso di equivoci: facciamo satira, di quella che piace alla sinistra di ogni epoca), che certe epurazioni te le meriti e magari sono solo un debutto; nel pezzullo non manca l’allusione all’ateneo dove Gervasoni tuttora insegna, quasi a suggerire, ma sicuramente siamo noi malfidati: che aspettano?
Le cose, poi, andrebbero raccontare per esteso, per esempio informando del clima culturale alla Luiss che ormai è un regno del conformismo e dell’opportunismo governativo, roba che la Rai al confronto è anarcoinsurrezionalista; poi, se non dispiace, andrebbero pure rispolverati altri tweet, altri interventi, dal caporedattore Rai che considera Salvini “un nemico” e vuole la figlia 6enne in manicomio, la Meloni perennemente appesa a testa in giù, gli intellettuali, si fa sempre per dire, di Repubblica-Stampa capaci di uscite da cartellino rosso, rosso, rosso, le volgarità e gli attacchi delle premiate sardine, della galassia filogovernativa alle opposizioni, le commissioni del pensiero intestate alla intoccabile Segre, le meschinità senza tregua, i guitti che si schifano del Salvini spettatore dei loro film, l’apologia al limite del ridicolo (“giovane, poliglotta, coraggiosa, stravotata, a furor di popolo”, e poi scatta il riflesso dei tacchetti: è potente, è vicepresidente di Bonaccini) della nuova stellina furibonda Elly Schlein, ultimo bersaglio del Gervasoni politicamente inaccettabile: tutta robaccia da gente che brilla per ferocia, per cattiveria, per tweet e messaggi non di rado infami, e ce ne vuole per dire, come fa Zingaretti, che le destre nazionaliste farebbero le fosse comuni coi morti di Covid, e ce ne vuole per bollare come negazionisti, cioè difensori dell’Olocausto, i dissidenti sulla politica sanitaria situazionista del governo. Quanto a dire che se le regole del gioco sono queste, ciascuno gioca con le armi sue; che su Twitter e sui social in genere nessuno fa prigionieri e non ha senso, ed è oltre la scorrettezza attaccare un Gervasoni e non vedere tutto il resto.
A margine, si potrebbe anche considerare che ciascuno pensa, e dice, quel che gli pare senza bisogno dei dazebao indicativi, gonfi di sottintesi. Questo però lo lasciamo correre, perché la stampa progressista quanto a tolleranza, libertà di opinione, insomma democrazia è refrattaria, catafratta, è un linguaggio che mastica poco e risputa peggio, forse più ancora della immarcescibile fanzine giuseppina. Diciamo allora che Gervasoni non fu “allontanano dalla Luiss dopo i sui tweet su Carola Rackete”, ma estromesso, previa strumentalizzazione, dopo avere scritto ciò che oggi perfino molto grillismo e certo Pd arriva ad ammettere, nella clamorosa débacle del governo sulla gestione dei clandestini: e cioè che navi Ong e barconi vanno colati a picco, ovviamente senza carico a bordo.