Se c’è una qualità che non si può non riconoscere a Mario Orfeo è quella di saper navigare in ogni mare. Buono per tutte le stagioni, in particolare in Rai, soprattutto di quelle che soffiano un vento di sinistra. Da oggi è ufficialmente il direttore di Repubblica dopo aver spodestato il mesto Maurizio Molinari, uscito sconfitto nella guerra aperta con la redazione dei giornalisti. Che poi è questo corpaccione di cronisti il vero deus ex machina del quotidiano che fu di Eugenio Scalfari, capace di sfiduciare prima e poi di far cacciare l’ex direttore imponendo due clamorosi giorni di sciopero. Da tempo serpeggiava malcontento: per la linea su Israele, per gli articoli di Alain Elkann sui lanzichenecchi, per le copie di Affari&Finanza andate al macero, per le interviste filo-palestinesi a Ghali non pubblicate, per il caso Zerocalcare e per gli speciali sul tech pieni zeppi di “marchette” alle aziende di Exor. Due giorni di astensione dal lavoro in concomitanza con l’evento tech a cui John Elkann teneva tantissimo hanno avuto il risultato di danneggiare la kermesse (non apparsa sui quotidiani del gruppo) e di far licenziare Molinari. Un “omicidio” perfetto.
L’unico a goderne, alla fine della fiera, è proprio Mario Orfeo il quale – in odore di essere sostituito dalla direzione del Tg3 – non ha esitato neppure un secondo a sostituire il povero collega. Come ovvio che sia, l’editoriale di stamattina era molto atteso – dentro e fuori il quotidiano – per capire come si sarebbe mosso il nuovo arrivato al timone del giornale. E lui, che di galleggiamenti se ne intende, ha infarcito l’articolo con alcuni messaggini volti a rassicurare il pericoloso corpaccione di Rep.
Sono due o tre passaggi brevi, ma intensi. Lasciate perdere la retorica sui “lettori che riconosci per strada da come si muovono, da come guardano e da come parlano” (che ansia). Lasciate perdere l’aver definito Repubblica la sua “casa”. O la collocazione del giornale nel “campo aperto progressista, lontano e opposto a chi alza nuovi muri e disegna confini più angusti”, attento alla “giustizia sociale”, alla “difesa dell’ambiente”, alla “lotta a ogni genere e forma di discriminazione”. Non è questo il succo del discorso. Quello va cercato tra le righe.
Primo appunto: Orfeo cita i suoi predecessori, ma non tutti. Parla di Scalfari, del fondatore Carlo Caracciolo e di Ezio Mauro. Neppure un riferimento a quelli che sono venuti dopo, che invece Molinari aveva giustamente avuto il buon gusto di nominare. Orfeo non si è neppure preso la briga di ringraziare chi gli ha liberato l’ufficio per il lavoro svolto, solo un accenno al fatto che diventerà editorialista, quasi a rimarcare la distanza. Quasi volesse dire ai giornalisti in guerra con Molinari: io sto dalla vostra parte. Una scelta di campo, legittima, ma non esattamente carina nei confronti del povero Maurizio.
Secondo passaggio da non sottovalutare: “Torno (a Repubblica) da direttore, chiamato dall’editore Gedi che ringrazio per la fiducia e la libertà del mandato“. Parole di miele per quella redazione che contro le “gravi ingerenze nell’attività giornalistica da parte dell’editore, delle aziende a lui riconducibili e di altri soggetti privati” aveva sollevato i forconi. Succederà davvero? Impossibile dirlo. Ma intanto è una mano tesa ai lavoratori della testata, peraltro rinforzata da sperticati complimenti alla “qualità” all’impegno “della redazione” o “all’autorevolezza della squadra di editorialisti”.
Infine, occhio anche al posizionamento sul campo internazionale. Orfeo non cita mai né Israele né la Palestina, ma un passaggio sembra dedicato a questo argomento che tanto divide i giornalisti di Rep. Scrive il neo-direttore: “Viviamo un tempo di guerre dove solo chi è in malafede può confondere aggressori e aggrediti o regimi e democrazie, ma dove allo stesso modo non deve essere consentito a nessuno di girarsi dall’altra parte o di chiudere gli occhi davanti alle stragi quotidiane di civili innocenti, madri e bambini”. Un colpo alla botte e uno al cerchio. In perfetto stile Orfeo.
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