I moralizzatori sono stati moralizzati. Si potrebbe riassumere così la querelle, decisamente imbarazzante, che ha investito il quotidiano La Repubblica. Una storiaccia, va detto. Perché riguarda la questione del lavoro su cui tanto si spendono gli eredi di Eugenio Scalfari. Due giorni fa alla rubrica “Posta e risposta” gestita da Francesco Merlo arriva la lettera di un tal Tobia Bufera, vicentino, grafico di 37 anni che dopo aver lavorato “quotidianamente ed esclusivamente” per la stessa azienda per sei (lunghi) anni, è stato messo con le spalle al muro dal datore di lavoro: o dichiarava di essere un fornitore esterno, “rinunciando a qualsiasi diritto acquisito”, oppure tanti saluti. “Non so cosa fare – scrive -: firmare e continuare a lavorare da finta partita Iva o dire basta a questo sfruttamento cercandomi un altro lavoro, magari per la consegna del cibo a domicilio?”
Merlo non si fa sfuggire la storiella di mano, e la pubblica con tanto di commento mezzo indignato. “Si partì con la flessibilità, che avrebbe reso moderno il mercato del lavoro, e si è arrivati ai trucchi del precariato eterno”, sentenzia il giornalista. Peccato che il “trucco” del “precariato eterno” lo abbia messo in campo lo stesso quotidiano per cui lavora Merlo. Già, perché Tobia Bufera in realtà non esiste, e non fa il grafico per chissà quale azienda: si tratta di un (ex) lavoratore di Repubblica, imbufalito per il trattamento ricevuto, che per denunciare l’ipocrisia dalla Bibbia del progressisti ha ben pensato di giocargli un tiro mancino.
Su Instagram, infatti, “Phabioh” ha poi sbertucciato il suo (ex) giornale. “Ieri è stata pubblicata su Repubblica una mia lettera a Francesco Merlo – ha scritto – in cui, col mio nome anagrammato e fingendomi un grafico di un imprecisata azienda invece che un ex giornalista di Repubblica, ho raccontato la vicenda lavorativa che mi ha visto coinvolto 3 anni fa. Sono contento che Francesco Merlo, che son sicuro mi perdonerà le petit jeu, abbia definito, anche se inconsapevolmente, le modalità di impiego dell’azienda per cui io lavoravo e per quale lui tuttora lavora “trucchi da precariato eterno”. Colpito e affondato.