Resisti, Toti: non dimetterti

Spuntano i verbali dell’interrogatorio di 8 ore di fronte ai pm. Il governatore rivendica un modo di fare politica. Ora resista

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Toti regione liguria

Bene ha fatto Giovanni Toti ad aprire le sue memorie difensive con un’analisi politica, più che giudiziaria. Perché alla fine della fiera, tralasciando il gioco al massacro dei giornali sui dettagli di gossip, dallo yacht di Spinelli alla colazione a Montecarlo, la sfida all’inchiesta della procura di Genova ruota attorno ad un principio che il governatore ligure ha rivendicato con inattesa forza: la politica ha il diritto, anzi il dovere, di compiere delle scelte, di favorire l’azione privata utile all’interesse pubblico, di mediare tra le parti, di dialogare con gli imprenditori, di “rendere più celeri e semplici gli investimenti”, di rimuovere gli ostacoli che la burocrazia canaglia pone di fronte a chi cerca di far crescere il Pil e il Paese.

Insomma: se volete provare a capire se Giovanni Toti è colpevole o innocente, oltre ad aspettare il processo, potete leggere la memoria difensiva nella sua versione integrale (qui) o i verbali (qui) del suo interrogatorio di fronte ai pm, durato otto lunghe ore. Anche se a leggere le carte, siamo sinceri, il castello accusatorio appare deboluccio: tutte le dazioni di denaro da Spinelli al comitato elettorale del governatore ligure erano tracciate; i fondi, come spiegato da Toti, sono sempre stati utilizzati per scopi politici e non personali (peraltro, i pm non lo contestano); e parliamo di cifre irrisorie (74mila euro) rispetto al volume di denaro mosso dagli investimenti nel porto. Inoltre, come ricordato dal presidente, negli anni passati alla guida della Regione si è interessato non solo alle richieste di Spinelli, ma anche a quelle di altri imprenditori “notoriamente con orientamenti politici diversi o politicamente non esposti”. Cioè soggetti che non hanno mai contribuito con un euro ai comitati elettorali di Toti. L’elenco è sconfinato.

Qui però è di altro che vogliamo discutere. Il documento redatto da Toti pone infatti un tema molto importante, forse cruciale, sul rapporto tra imprese, politica ed interesse pubblico. I candidati possono ricevere finanziamenti tracciati? Sì. Bene. Le aziende, ma anche i singoli cittadini, hanno il diritto di aiutare chi ritengono che possa portare avanti un’azione amministrativa che più si confà ai propri desideri, aspirazioni, ideologie? Sì. Perfetto. Da questo ne deriva che – per semplificare – un imprenditore di destra sosterrà chi intende abbassare le tasse, uno di sinistra chi propone maggior welfare a spese dello stato. Altri finanzieranno un po’ l’uno e un po’ l’altro, perché la vita non è mai in bianco e nero. In ogni caso, i politici servono proprio a tradurre in azioni amministrative i desiderata degli elettori (privati o aziende) che li votano e sostengono.

Per capire bene, focalizziamoci sulla spiaggia di Punta dell’Olmo, a Celle Ligure, quella striscia di sassolini che Aldo Spinelli sperava di poter prendere in concessione per gli appartamenti di lusso che sta costruendo al posto delle decadenti ex colonie bergamasche. Di fronte ai pm, Toti avrebbe potuto sottolineare banalmente che quel lido era, è e resterà ad uso pubblico perché le norme non ne permettevano la privatizzazione. Insomma: avrebbe potuto sostenere di essersi solo informato sul dossier e di aver millantato interessamento nelle telefonate con Spinelli, tanto per tenerlo buono. Invece ha rivendicato una linea politica liberale e anti-statalista: gli Spinelli “ritenevano che un intervento così importante” su quei ruderi “avesse la necessità di contare sulla spiaggia” e la posizione di Toti “era che la pretesa, se conforme alla legge, poteva essere sostenuta”. Nulla di più sacrosanto. È diritto di Toti e del suo “indirizzo politico” considerare un bene che il lido venisse dato in concessione. “Una strada poteva essere verificare il numero di spiagge libere e potere dare così risposta positiva attraverso quella strada”. Dov’è lo scandalo? Poi i tecnici hanno fornito “parere negativo” e infatti non se n’è fatto nulla. Fine.

Diverso sarebbe se Toti avesse forzato le leggi o aggirato le norme per raggiungere lo scopo, ma così non è stato. Lo stesso dicasi per i supermercati Esselunga: “Per noi – ha detto Toti ai magistrati – era un  obiettivo politico preminente… Seguivo la pratica perché la ritenevo simbolica e importante…”. Legittimo che l’azienda abbia sostenuto un politico che favoriva la concorrenza nella grande distribuzione, anziché ostacolarla.

E ora arriviamo al nodo più politico, quello delle dimissioni. La sinistra e il M5S le richiedono a gran voce, ma anche a destra c’è chi non nasconde un qualche imbarazzo. Il giustizialismo è più diffuso di quanto si immagini, soprattutto quando la caduta di un governatore dà l’occasione agli alleati di sostituirlo con un proprio iscritto. Invece Toti deve resistere. Deve rompere questo circolo vizioso che da anni terremota la politica italiana, costringendo alle dimissioni amministratori poi assolti da tutte le accuse (vedi Marcello Pittella e Mario Oliverio) ma intanto sbattuti a forza fuori dalla scena pubblica.

L’articolo 27 della Costituzione parla chiaro, anche se molti lo dimenticano: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Toti non deve “difendersi” da nulla, è innocente: spetta alla procura dimostrare eventuali e presunte colpe. Fino a quel momento, un politico che davvero intenda onorare la Carta resta al suo posto. Toti, non dimetterti.

Giuseppe De Lorenzo, 24 maggio 2024

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